I Giusti
Recensione del libro di Jan Brokken edito da Iperborea (634 pp., 19,50 euro)
Tutto comincia con una telefonata. L’ambasciatore olandese nei paesi baltici, De Decker, chiede al direttore della filiale Phillips di Kaunas, il suo connazionale Jan Zwartendijk, di assumere la carica di console ad interim in Lituania. Jan è un uomo coscienzioso, retto, buon padre di famiglia, e si sente in dovere di accettare. Queste stesse qualità – rettitudine, senso del dovere – lo porteranno a salvare migliaia e migliaia di vite umane, con grande rischio per se stesso, nessun vantaggio personale, nessun riconoscimento a posteriori.
Jan Brokken torna a girovagare fra le sue predilette “anime baltiche” e scova altri Giusti, persone capaci di quel sentimento che Gabriele Nissim, con felice definizione, ha chiamato “la bontà insensata”. Per tre anni l’autore ha scavato nel passato alla ricerca di documenti, viaggiato in tutto il mondo per incontrare figli e nipoti dei protagonisti, superato difficoltà burocratiche e incomprensibili reticenze, incrociato le date e ricostruito i fatti. Ne scaturiscono decine e decine di biografie, che riempiono le oltre 600 pagine del libro: vite di testimoni, vicende struggenti sospese fra speranza e tragedia, per un reportage storico di straordinario valore documentario e morale.
Siamo nel 1940. Gli ebrei polacchi e lituani sono braccati ovunque, imprigionati, deportati, uccisi. Vengono assassinati dai nazisti tedeschi, dai bolscevichi russi, dai nazionalisti lituani. Non sanno come mettersi in salvo. Una di loro si rivolge a De Decker, che per accontentarla suggerisce a Zwartendijk di scrivere sul passaporto che, per le Antille olandesi di Curaçao e Suriname, “non è necessario un visto di ingresso”. Ciò che De Decker non saprà mai, è che Zwartendijk copia la stessa formula su decine, centinaia, migliaia di passaporti. Fino a guadagnarsi il titolo di “Angelo di Curaçao”, anche se nessuno sa che si tratta di lui. Per raggiungere la meta, con questo bizzarro pseudo-visto, occorre però attraversare tutta l’Unione sovietica, da Kaunas a Vladivostok, e poi imbarcarsi per il Giappone, e poi da lì reimbarcarsi per l’America, Shanghai, Città del Capo, l’Australia.
Qui entra in campo un altro Giusto, oggi ben più famoso dell’olandese: il console giapponese Chiune Sugihara, che – contravvenendo alle disposizioni ricevute – fornisce di un visto di transito in Giappone tutti gli ebrei inviatigli dal collega. Quest’ultimo usa la stilografica, l’altro inchiostro e pennino. Entrambi lavorano senza sosta, dormono poche ore per notte, hanno i crampi alla mano. Lunghe code si formano nei due edifici, fino alla strada: gente angosciata, esseri umani scaraventati in ogni parte del globo dalla violenza della Storia. Molti moriranno senza scampo, alcune migliaia riusciranno a salvarsi.
“Ventitré anni dopo la guerra, Sugihara disse: “Se avessi obbedito al mio governo, avrei disobbedito a Dio”. Zwartendijk era decisamente troppo riservato per dichiarazioni di quel tipo. Disse solo al figlio più piccolo, poco prima di morire, che aveva lasciato Kaunas con la coscienza a posto.
I Giusti
Jan Brokken
Iperborea, 634 pp., 19,50 euro
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