Il signor Cardinaud
La recensione del libro di Georges Simenon, Adelphi, 136 pp., 16 euro
La signora Cardinaud è scappata con Émile, il figlio di Titine. Poteva anche essere una cosa inverosimile, sconvolgente, ma almeno era un fatto, una certezza. Sua moglie se n’era andata con Émile, dunque l’avrebbe ritrovata. Semplicemente! Era deciso”. Hubert non ha dubbi, di ritorno dalla messa domenicale e dopo essersi fermato come sempre a comprare un dolce da mangiare in famiglia. L’unica cosa da fare, semplice, elementare, logica è quella di andare a cercare sua moglie Marthe. La ragazza che aveva amato alla follia fin da quando si erano conosciuti molto giovani. La donna che aveva amato alla follia quando era riuscita a sposarla e ad avere con lei due figli. Ma una mattina Marthe aveva deciso di rompere la routine di ogni giorno, aveva preso con sé un po’ di risparmi ed era fuggita. Più precisamente fuggita da Hubert. Da quel marito che l’amava alla follia ma che forse l’aveva chiusa in uno schema cristallizzato pensando che Marthe non sarebbe cambiata mai. E invece Marthe era cambiata, anzi forse non era mai stata come Hubert la vedeva. Era qualcosa di più, tracimava lo sguardo che le persone avevano di lei. E così aveva deciso di lasciare tutto e di scappare, con un poco di buono per giunta. “Tua moglie è carina, ma è senza sangue, senza gusto per la vita. Un essere che ti sembrava di vedere attraverso un velo. Faceva tutto quello che si doveva fare. Si sforzava. Non le si poteva muovere nessun rimprovero. Andava a passeggio. Si prendeva cura dei bambini. Cucinava meglio che poteva e la casa era tenuta in ordine. Ma…”. Ma Marthe non si sentiva compresa, quella donna che in molti definivano un po’ snob e che aveva celato persino al marito il grande amore che l’aveva legata a Émile. E che tutto a un tratto era riemerso con il suo vestito migliore. Il vestito che la faceva sentire come non era mai stata, come nessuno l’aveva mai guardata. “Aveva ragione lei quando, un tempo, sosteneva che lui non la conosceva. Aveva vissuto al suo fianco, aveva avuto due figli, le parlava, la baciava, faceva dei progetti insieme a lei, e non sapeva che sarebbe bastato che un giorno Émile ritornasse, sporco, inquieto, rabbioso, infelice, perché lei lo seguisse come una cagna segue il padrone”. Nonostante tutto questo, perché in fondo Hubert di tutto questo aveva il sentore, lui era andato a cercarla. A riprenderla, a ristabilire l’ordine che avrebbe regolato la loro vita ancora per molto tempo. “Lui le aveva impedito di parlare. E in seguito, quando si erano sposati, lui si era fatto triste, di colpo, proprio nel momento in cui avrebbe dovuto essere più felice, perché il suo sospetto era diventato una certezza”.
E alla fine del racconto, poco importa se Hubert ritroverà Marthe e se la riuscirà a convincere a tornare a casa. Importa di più avere compiuto un pezzo di strada con due personaggi vividi, sfaccettati, ordinariamente imprevedibili. E veri. “Ti sei ricordato il dolce?”. Quello che ha il profumo di casa.
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