Il silenzio dell'acciuga
La recensione del libro di Lorena Spampinato, Nutrimenti, 240 pp., 18 euro
Tresa è tutto il contrario di una culodritto. Non va via sicura, non asserisce né domanda, non fa risate pulite e piene quasi senza rimorsi o pentimenti, non ha nemmeno gli occhi spalancati sul mondo come carte assorbenti. E non perché non abbia cromosomi corsari, come la culodritto di Guccini, che li aveva di longobardi e celti e romani (Tresa è siciliana, quindi ne ha pure di più di corsari), ma perché viene educata al silenzio. Sono gli anni Sessanta, la Sicilia è esattamente come la vediamo in “Sedotta e abbandonata”, e lei non ha una madre ma ha un fratello gemello, e un padre che a un certo punto abbandona entrambi da una zia, Rosa. E’ lei, la zia Rosa, che le fa capire che ha un corpo che la forma e che può soddisfarlo, favorirlo, impreziosirlo e, prima di ogni cosa, ascoltarlo. La storia del romanzo è semplice, e conta poco, ne abbiamo lette e viste di molto simili: l’infanzia e poi l’adolescenza di una bambina che cresce in una famiglia scissa, in un tempo in cui non esisteva la parola disfunzionale e quindi ai genitori era permesso qualsiasi errore e ai bambini nessuno; l’emancipazione dai ruoli e dalle rigidità sociali; la libertà sempre strangolata; il sesso proibito e doloroso; la vergogna; la solidarietà familiare che s’instaura soltanto tra donne a patto che tra loro condividano un segreto, un abuso, un maschio scellerato. Però il punto di questo libro non è la storia, ma l’atmosfera e il modo in cui Lorena Spampinato, che lo ha scritto, ha raccontato e rappresentato il silenzio, e la tremenda violenza che a esso soggiace, la nebbia che mette sulle cose, il modo in cui agisce, nella costruzione dell’identità, esponendola continuamente al senso di colpa, la patina con cui vela la volontà desiderante rendendola indistinguibile, a volte irraggiungibile. C’è il silenzio delle cose omesse, degli ordini impartiti con lo sguardo, delle domande poste per retorica e non per indagine, del mentire annuendo. Tresa è un’acciuga per metà del romanzo, poi un’ostrica, poi una murena. Cresce disancorandosi dal fratello grazie a un amico che però poi perde, e finisce presto nel mirino di un ragazzo non molto più grande ma già capace di essere uomo, silente e non silenzioso. Strisciante. Se ne innamora, secondo lo schema classico dell’abuso di precocità, finché a salvarla non è la stessa donna della cui giocosità, solidarietà e vicinanza Tresa aveva perso le tracce (non specifichiamo quale donna per amor di finale, che è importante sebbene questo sia un libro non di trama ma d’indagine e smarrimento, e quindi un libro dove la scrittura conta più di ogni altra cosa ed è regista, deus ex machina, tutto). Dai ladri di bambine non ci si salva mai da sole, si dev’essere sempre almeno in due. Questo è un punto.
L’altro, più grande, nel quale sta tutto il senso del libro, è che il consenso, alla cui rielaborazione il nostro tempo è particolarmente dedito, prima che di una libertà sgombra, ha bisogno, per essere esercitato, di una sincerità assoluta, che è un’utopia verso la quale si può imparare, semplicemente, a tendere.
Lorena Spampinato
Il silenzio dell’acciuga
Nutrimenti, 240 pp., 18 euro
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