Miss Rosselli
La recensione del libro di Renzo Paris, Neri Pozza, 240 pp., 18 euro
Voglio essere per l’ultima volta il custode di un mondo scomparso, evocatore di un’ombra, chiedendomi, perplesso, chi mai sarà il testimone del custode”: da tempo, Renzo Paris ha ritagliato su di sé anche questo ruolo, raccontando e romanzando le vite di Alberto Moravia, Ignazio Silone, Pier Paolo Pasolini. Persino quando parla di Apollinaire, cioè di un poeta che non ha conosciuto di persona, la sua narrazione è quella di un certo modo di intendere la letteratura, come un incontro che può nel profondo cambiarti la vita. Il testimone del custode, penso leggendo Miss Rosselli, pubblicato da Neri Pozza, è il lettore, al quale è possibile un’altra forma di esperienza. Ed è commovente e autentico questo libro sulla poetessa di via del Corallo, che nella sua essenza sincretica unisce biografia e illuminazioni fantasmatiche, un libro che è una lettera con due destinatari: uno è appunto il lettore, che nulla o tutto sa di Amelia Rosselli, della sua famiglia, della sua vita e di quelle poesie terribilmente belle, l’altra è Amelia stessa, invocata come Melina, l’amica osservata e ammirata e anche un po’ temuta.
Se l’amicizia è una forma d’amore, Miss Rosselli è una lettera d’amore. Se Melina sentiva le voci, seguire il suo spettro per le strade di Roma non appare tanto inverosimile. Nella biografia di una donna che dopo il suicidio è stata amatissima e forse idealizzata in modo traviato, Paris riesce nel miracolo di evitare la mitizzazione kitsch della malattia, trova le giuste parole, le proprie e quelle attinte da lei; mentre io, che non ho mai conosciuto Amelia Rosselli se non nella furia impudica con cui l’ho amata e sottolineata, cerchiata e accerchiata, leggo e zittisco il pudore di sentirmi un’intrusa in una seduta spiritica che non mi riguarda, e poi trascinata dentro tutti i complessi legami di anni che non ho vissuto. Però sussulto ogni volta che mi riconosco, a partire dall’esergo: “Ma non ebbe paventato la gioia / che già accostava la noia”, versi che ho mormorato infinite volte e adesso sono lì ad aprire le stanze dei ricordi, senza retorica; non è un libro nostalgico, questo. Nel modo in cui Paris ha deciso di scrivere di, con e per la sua amica Melina, la memoria è uno strumento che ha più a che fare con il presente che con il passato. Le persone che abbiamo amato vivono nelle nostre ossessioni e nel dialogo ininterrotto che cominciamo a intavolare con loro il giorno stesso in cui se ne sono andate portandosi via quella parte di noi che esisteva soltanto in relazione a loro. Renzo Paris viene a sapere della morte di Amelia dal telegiornale, ed è la pagina più dolorosa di tutto il libro, un suono metallico che falcia ogni cosa e rende ancora più difficile mettere a fuoco il vuoto, accettare la sparizione definitiva di un corpo che pure aveva abituato gli amici a lunghe assenze, a lunghi inganni. Fino a quando Paris, il sopravvissuto che per molto tempo non riesce ad andare sulla tomba di Melina, fa quello che gli scrittori fanno per seppellire gli amici: seguire il fantasma, e mettersi a scrivere.
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