La sinistra italiana e gli ebrei
La recensione del libro di Alessandra Tarquini, il Mulino, 310 pp., 22 euro
Nell’analizzare un secolo esatto di difficili rapporti fra “socialismo, sionismo e antisemitismo”, dalla nascita del Partito socialista alla fine della Prima Repubblica, Alessandra Tarquini riporta al centro dell’attenzione alcune verità poco note e piuttosto scomode. Sulla base della tradizione filosofica marxista, socialisti e comunisti giudicavano l’ebraismo una “sovrastruttura” religiosa, una questione particolaristica da superare nell’ambito generale della lotta di classe. Del resto, ricorda l’autrice, l’antisemitismo moderno aveva avuto origine proprio dal ventre della sinistra francese, nella prima metà dell’Ottocento. Sin dalle origini, insomma, la sinistra italiana ha sempre considerato la questione ebraica con un atteggiamento di sufficienza e con fastidio. Non stupisce, di conseguenza, che anche il movimento sionista sia stato ignorato o trattato con grande diffidenza.
Non mancarono tuttavia le eccezioni: Turati, Treves, Modigliani erano i capi più autorevoli del socialismo riformista, e le loro origini ebraiche contribuirono sicuramente a una maggiore comprensione della questione; un ruolo analogo fu svolto da Carlo Rosselli con i socialisti liberali e poi con gli azionisti, portando così alla nascita di forze politiche minori, favorevoli al sionismo, come i socialdemocratici di Saragat e il Partito repubblicano di Ugo La Malfa.
I due partiti maggiori della sinistra, invece, furono quasi sempre indifferenti agli ebrei e ostili a Israele. Desta impressione rileggere le cronache dell’Unità all’indomani della guerra, in cui vengono descritti con dovizia di particolari tutti gli orrori dei campi di sterminio, ma senza neppure nominare gli ebrei. Il momento di svolta è la nascita di Israele, nel biennio ’47-’48. E’ solo in questo breve frangente che socialisti e comunisti, alleati nel Fronte popolare, sostengono la nascita del nuovo stato, in ossequio alle direttive del Cremlino. Lo stato ebraico – Alessandra Tarquini lo sottolinea con chiarezza – nasce da un errore di valutazione di Stalin. Il dittatore comunista punta a indebolire l’Impero britannico (ormai avviato a un inesorabile declino) e, poiché i paesi arabi sono in gran parte in orbita inglese, mira a portare dalla sua parte la leadership sionista, di orientamento socialista. Viceversa, Ben Gurion e gli altri decideranno di schierarsi senza esitazioni dalla parte dell’America e dell’occidente. Comincia allora la lunga stagione dell’ostilità della sinistra italiana verso Israele, in sintonia con la politica estera filoaraba della Democrazia cristiana. Unica eccezione, l’atteggiamento amichevole di Pietro Nenni, ministro degli Esteri negli anni Sessanta.
L’inimicizia della sinistra contro Israele toccherà il culmine negli anni Ottanta con la leadership di Bettino Craxi, aperto sostenitore e finanziatore dell’Olp di Yasser Arafat. Solo con la fine del Psi e la quasi contemporanea nascita del Pds, in quest’ultimo partito nasceranno, su iniziativa di Giorgio Napolitano e Piero Fassino, nuove riflessioni su Israele e il suo diritto di esistere.
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