Un frutto acerbo
Recensione del libro di Wioletta Greg edito da Bompiani (176 pp., 17 euro)
Sono gli anni Ottanta e la Polonia è sotto un regime comunista, più morbido di molti altri, contro il quale matura, cresce e si stabilisce un’opposizione prima di tutto esistenziale, poi civile, infine politica. Nei villaggi rurali, dove la gran parte del paese sta ed è, assai più che Solidarnosc, Lech Walesa e l’Autunno delle Nazioni, arrivano e s’avvertono Papa Giovanni Paolo II, le credenze popolari, Mosca e i suoi delegati, che si presentano a bordo di Fiat 125p, organizzano recite nei circoli degli agricoltori e concorsi di disegni per bambini allo scopo di imbonire la popolazione e, insieme, controllarla studiandone l’immaginario, l’espressività, i sogni. Questo romanzo racconta tutto questo filtrare, infiltrare e infiltrarsi e lo fa mostrando cosa succede nella vita di una bambina, Wiola, che cresce in un piccolo villaggio rurale povero ma colorato, profumato, garbato, abitato da contadini e disertori (uno dei quali è suo padre), tutti molto credenti, devoti a Dio e al fato, cristiani pagani come si è ancora da qualche parte del sud Italia, ligi ai doveri di comunità per amore di popolo e non di regime. Wioletta Grzegorzewska, per gli amici Wioletta Greg, in quel posto e in quella Polonia ci è cresciuta davvero e prima che in questo libro l’aveva raccontato nelle sue poesie, di cui il romanzo è un raccordo e un set ben sceneggiato, perfettamente ambientato. Il comunismo e il regime sono sempre in controluce e affiorano nel racconto in pochi episodi, due su tutti. Primo: un medico molesta Wiola, lei gli dà un calcio nelle palle, lui dice a sua madre che la bambina è irrequieta, lei torna a casa, sfascia un termometro, ingoia palline di mercurio, quasi muore, non dice mai cos’è successo davvero. Secondo: Wiola vince un concorso provinciale in cui le viene chiesto di rappresentare “cosa minaccia la tua fattoria” e lei disegna un coleottero che fa capolino da una bottiglia di Coca-Cola, tutti credono che sia una grande metafora della lotta all’imperialismo, invece lei ha semplicemente visto spesso suo nonno catturare coleotteri nell’orto di casa con i vuoti della Coca-Cola. Per il resto ci sono gli odori, il cibo, gli interni, le riunioni di vecchie amiche, la resistenza degli uomini, il lavoro duro delle donne, le superstizioni, la vita scandita dalle favole che sono sempre anche un monito, un’educazione civica, una preparazione alla connessione tra il vero e il magico, tra il divino e il sogno. Le ombre di russi e tedeschi non coprono la luce, l’ironia, la fede, la fiducia, i colori, le mamme che hanno paura dei temporali e credono che quando si scatenano la colpa è di qualcuno che ha fatto del male a qualche ragno (creature sacre che “hanno salvato la Madonna!”), le vedove che si confessano, divertite, di non avere più intenzione di “sciogliere il caramello per levare via i baffetti”, i nonni che alle prove delle recite di regime ci vanno, le ragazzine che leggono fumetti di nascosto, e con gusto triplicato. Forse, prima che un romanzo sulla Polonia reale di quel decennio così cruciale della storia del paese e dell’Europa, questo è un romanzo su cos’è una comunità.
Un frutto acerbo
Wioletta Greg
Bompiani, 176 pp., 17 euro
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