Le peggiori paure
Recensione del libro di Fay Weldon edito da Fazi (270 pp., 16 euro)
Quali sono le nostre peggiori paure? Quelle di Alexandra, attrice minore sposata con il critico teatrale Ned, prendono forma una fredda serata londinese quando, mentre lei si trova sul palcoscenico a interpretare Nora in “Casa di bambola” di Ibsen, Ned muore a causa di un presunto attacco cardiaco. Ma questa è solo la punta dell’iceberg delle paure, reali o presunte, di Alexandra che da lì in poi vedrà sgretolarsi, e rivelarsi forse per la prima volta, i rapporti sociali e le relazioni che aveva intessuto per tutta la vita. Sfalsate e dopo tutto misere le amicizie con Abbie e Vilna, freddo e privo di tenerezza il rapporto con il cognato Hamish che si assurge a moralizzatore ma che dimentica del tutto il perdono, pieno di chiaroscuri e falsità il matrimonio con Ned, traditore seriale la cui morte sembra nascondere diversi retroscena. Alexandra si muove in un mondo dove tutto si rivela falso e chi le sta attorno – dai parenti, agli amici, ai conoscenti, al pubblico dei suoi spettacoli – sembra svelare costantemente la sua malignità e superficialità. A farne le spese maggiori è soprattutto l’istituzione del matrimonio; quello tra Ned e Alexandra infatti dimostra – anche se a posteriori – tutta la fragilità e l’ipocrisia sulle quali è stato fondato. Ma la donna poco si scompone e anzi, spesso con una stoccata sarcastica, risolve le situazioni senza rimanerne poi così grandemente segnata. “Le peggiori paure. Le mie, le peggiori paure di Alexandra Lud. Posso farcela? A essere l’attrice che interpreta me stessa? E, allora, come dovrei sentirmi?”. Ci si muove sul filo sottile che divide la realtà dalla finzione, la verità dall’interpretazione di un ruolo. E’ quindi tutta una recita? La vita, i legami personali, i codici prestabiliti che vengono imposti tra le persone e che regolamentano i rapporti sociali? Forse. Sicuramente è tutto un gioco al massacro dove ne esce in qualche modo vincitore chi ha la battuta più arguta, la stoccata più affilata, la lingua più biforcuta. In un racconto che almeno a tratti trova lo spazio per qualche riflessione sulla solitudine che questo modo di interpretare la vita comporta.
Non risparmia proprio nessuno la penna di Fay Weldon, che non ha nulla da invidiare quanto a causticità e sagacia ma che sembra subordinare all’amore per lo stile una vena grottesca spesso controproducente. La ricerca di dialoghi mordaci rende in qualche caso i personaggi troppo omogenei tra loro. Tutti alzano i toni e la posta in gioco, non governati più da quella gradevole verosimiglianza che fa tirare il fiato al lettore e per questo ci si sente un po’ sovrastati. Da una società dove tutte le relazioni sociali sono false e di superficie, dove in fondo prevale l’aspetto manipolatorio e che guarda al raggiro. La Weldon tira i vari fili del racconto con sapienza e mestiere ma forse in qualche caso tende un po’ a ripetersi. E il filo a lungo andare è lì lì per spezzarsi. Ma le battute sagaci e al veleno hanno comunque sempre il loro fascino.
Le peggiori paure
Fay Weldon
Fazi, 270 pp., 16 euro
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