Di guerra e di noi

Alessandro Litta Modignani

Recensione del libro di Marcello Dòmini edito da Marsilio, 670 pp., 21 euro

Medico chirurgo e docente universitario, Marcello Dòmini esordisce in letteratura con un romanzo-fiume, ambientato nell’Italia dilaniata dalle due guerre mondiali e dalla dittatura.

Ricciotti è un ragazzino di appena nove anni, quando apprende della morte del padre, caduto sul Carso. I destini suo e del fratellino, Candido, devono necessariamente separarsi: il piccolo resta in campagna nel mulino di famiglia, con la madre; Ricciotti invece è costretto a misurarsi con la durezza del collegio, deve crescere in fretta e imparare a difendersi.

La storia dei due fratelli, ambientata a Bologna e nella campagna circostante, è il perfetto affresco di un’Italia per lo più agricola, trascinata nel vortice della storia dall’ascesa al potere del fascismo. Anche Ricciotti, giovanissimo, partecipa allo squadrismo, sulle orme di Leandro Arpinati, un carismatico fascista “della prima ora” e anzi socialista con Mussolini fin dall’anteguerra. Pur essendo il capo del fascismo bolognese, Arpinati è un uomo di solidi princìpi, dotato di rettitudine e senso dell’onore. Ricciotti gli deve tutto, e resterà per sempre legato a lui, tanto da farne il suo prezioso consigliere e punto di riferimento, anche quando costui assumerà posizioni sempre più critiche nei confronti del fascismo e di Mussolini, fino a essere spedito al confino. Un poco alla volta, Ricciotti prende coscienza della realtà e impara, nel corso della vita, che esistono fascisti onesti, idealisti o semplicemente realisti, che credono nel valore della parola data e che non rinunciano alla loro indipendenza di giudizio; ma anche fascisti odiosi, arroganti, profittatori, ben insediati nei posti di potere.

“Sono stato fascista, come sai bene – dice Arpinati – e anch’io da giovane ero irruente, affrettato, impaziente. Volevo tutto e lo volevo subito. L’attesa per me era noia, tempo perso, non bisognava aspettare, mai. Poi mi hanno mandato al confino e lì ho imparato che la noia non esiste: è la nostra mente a crearla. Ho imparato che tutto ha un senso e saper aspettare è qualcosa che c’entra con la filosofia”.

Arriva la guerra, il tempo dell’odio e della vergogna, con il suo inevitabile portato di assurdità, di violenza, di disposizioni grottesche e irrazionali. La vita quotidiana è sconvolta dal mercato nero, da soprusi piccoli e grandi, fino ai bombardamenti, alla lotta partigiana, alle rappresaglie. Di tanto in tanto, il tono epico e tragico del romanzo si stempera nell’allegria di qualche episodio da burla, e nel frequente ricorso al dialetto romagnolo, che conferisce al racconto il timbro di un’ironia popolaresca.

Di guerra e di noi è un libro toccante e amaro, che distribuisce con criterio equanime torti e ragioni, e che non nega a chi ha sbagliato l’opportunità di un riscatto. Arriva infine la Liberazione, e con essa la vendetta, quella particolare forma di giustizia che non sa distinguere e che non lascia scampo.

“Non esiste l’uomo nuovo, Ciotti. Esiste l’uomo, che è sempre lo stesso da migliaia di anni”. 

  

Di guerra e di noi
Marcello Dòmini
Marsilio, 670 pp., 21 euro

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