Ingegneri di anime
La recensione del libro di Frank Westerman, Iperborea, 320 pp., 18 euro
Quindi: basta con le favolette o le storielle d’amore. Compito degli scrittori è documentare la costruzione del paese, che sfoghino il loro lirismo nei tunnel della metropolitana, nelle gallerie delle miniere e nelle fonderie”.
Ingegneri di anime è un reportage storico-letterario, un viaggio dell’autore attraverso le repubbliche ex sovietiche, che indaga il nesso fra la letteratura comunista e l’edificazione delle grandi opere idrauliche concepite dalla menti distorte di una dittatura aberrante. L’olandese Frank Westerman denuncia con prosa curiosa e amara gli orrori dello stalinismo, e ricostruisce l’ossequioso asservimento degli scrittori ai deliranti progetti del potere assoluto.
L’Enciclopedia Britannica scrive, senza mezzi termini, che con la pubblicazione di Belomor, l’opera collettiva diretta da Gor’kij nel 1934, la letteratura sovietica aveva già raggiunto il suo “nadir morale”. Quest’opera ha un esilarante prologo la sera del 26 aprile 1932, quando proprio in casa di Gor’kij si riuniscono una quarantina di scrittori, alla presenza di Stalin. “Voi siete ingegneri di anime – dice il dittatore – Avete il compito di forgiare l’uomo nuovo sovietico”. Dalla riunione scaturisce l’idea di un viaggio in treno per 120 autori, condotti a visitare e a descrivere i lavori di scavo del canale Belomor (cioè un gulag) concepito per congiungere Leningrado con il mar Bianco.
Questo del canale è solo uno dei fili conduttori del libro. Un altro è rappresentato dal golfo di Kara-Buraz, una grande protuberanza orientale del Mar Caspio, che viene dissennatamente prosciugato da una diga nel giro di due soli anni. Una barriera assurda, un disastro ambientale che poi farà la fine del comunismo: sarà demolita dal nuovo tiranno ex comunista dell’Uzbekistan nel 1992. Così come il progetto di “girare i fiumi”, dal nord freddo e umido al sud caldo e arido di quell’immenso paese: tutte idee ciclopiche e pazzoidi, finalizzate alla costruzione del famigerato “socialismo”, con gli scrittori reclutati a suonare la grancassa.
E’ una vera e propria galleria degli orrori staliniani, questa di Westermann. Si parla di autori minori, come Konstantin Paustovskij, che però riuscirà a cavarsela, diversamente da Andrej Platonov, Boris Pil’njak, Isaak Babel’ e tanti altri, che faranno davvero una brutta fine. Sulla storia del lago di Kara-Buraz verrà anche girato un film, che però non sarà mai proiettato in una sala. Non c’è scampo al furore omicida dell’epoca staliniana: non certo per gli scrittori, per quanto si possano prostrare ai piedi del tiranno, ma neanche per i loro aguzzini. Tanti delatori, militari, ingegneri, tecnici, giudici, membri del Partito finiranno nel tritacarne con l’accusa di tradimento o di trotzkismo. “Vedo troppo pochi visi sorridenti – commenta Gor’kij nel 1933 a una mostra di pittura – Troppo poca gioia spontanea”. L’allegria, da quel momento, diventerà obbligatoria. Il 27 marzo 1953, tre settimane dopo la morte di Stalin, più di un milione di prigionieri saranno liberati.
Frank Westerman,
Iperborea, 320 pp., 18 euro
Una fogliata di libri