Oceani fuorilegge
La recensione del libro di Ian Urbina, Mondadori, 564 pp., 23 euro
Gli oceani sono l’ultimo far west rimasto. Laggiù, in quelle distese di mare, accade di tutto semplicemente perché a nessuno interessa. Gli oceani – non solo il maestoso Pacifico narrato da Hugo Pratt – sono la frontiera definitiva, la più selvaggia e brutale. Scrivendo Oceani fuorilegge, Ian Urbina – giornalista investigativo del New York Times – si è lanciato in un’impresa epica, viaggiando per cinque anni da un emisfero all’altro, percorrendo oltre dodicimila miglia nautiche in tutti e cinque gli oceani, a bordo di navi e pescherecci, lance della guardia costiera, navi di pattuglia della polizia marittima e vascelli di Greenpeace e Sea Shepherd.
Oceani fuorilegge è un potentissimo affresco di ciò che avviene ogni giorno in mare aperto fra pirateria e contrabbando, omicidi impuniti ed equipaggi ridotti in schiavitù a bordo di pescherecci fatiscenti perché la verità è che “nonostante la bellezza mozzafiato, l’oceano è anche un luogo distopico, che ospita fenomeni oscuri e disumani”. Oggi circa metà della popolazione mondiale vive a meno di centocinquanta chilometri dall’oceano e le navi mercantili trasportano il 90 per cento delle merci mondiali, eppure in mare aperto c’è un’infallibile logica di impunibilità e nessuno ne racconta gli attori principali, quell’accozzaglia di ladri di relitti e mercenari, scaricatori clandestini di petrolio e pescatori di frodo, clandestini e balenieri ribelli. In questa immensa zona grigia, Urbina si muove con destrezza, un capitolo dopo l’altro firma un reportage accurato – talvolta sconfortante – capace di cogliere la crudeltà della vita in mare in cui la legge che premia il più forte e annienta gli sconfitti, sin dai tempi di Long John Silver, è l’unico verbo ammesso.
Di fatto, nessuno paga per i crimini commessi in alto mare – dalla pesca illegale al traffico di clandestini – e l’impunità rende gli oceani una terra per fuorilegge. Il grande merito dell’autore è quello di documentare un mondo pressoché invisibile, muovendosi in luoghi di bellezza senza pari, lì dove gli istinti peggiori della natura umana prendono il sopravvento, in spregio alla natura e al rispetto per la vita stessa.
Quindici intensi capitoli durante i quali Urbina si imbarcherà nelle navi ambientaliste, incontrerà i pirati somali, racconterà l’incredibile storia di Sealand – il piccolo stato indipendente al largo delle coste inglesi che mette in vendita online la cittadinanza e persino le onorificenze – e si lancerà alla caccia delle baleniere, raccontando la storia delle truffe portuali e dei finti affondamenti che macchiano di sangue il mare. Abbiamo mappato le stelle e conosciamo ogni centimetro della Luna ma, sorprendentemente, abbiamo dimenticato di esplorare i fondali degli oceani, accettando di sorvolare su tutto ciò che accade ogni giorno in alto mare. Adesso, grazie a questo libro, non abbiamo più alcun alibi e non possiamo più far finta di non sapere. Sì, l’oceano ci sta chiamando.
Ian Urbina
Mondadori, 564 pp., 23 euro
Una fogliata di libri