Ballata per le nostre anime
La recensione del libro di Mauro Garofalo (Mondadori, 348 pp., 19,50 euro)
Ieri Papa Francesco ha scritto su Twitter: “Per uscire dalla spirale della violenza ci sono due risposte cristiane: la preghiera e il dono di sé”. Bello, però difficile.
Le comunità, specie quelle piccole d’un secolo fa, di chi fa dono di sé usano abusare o diffidare. Mauro Garofalo ha scritto un romanzo che racconta la storia di un uomo, una leggenda dell’Alta Italia del primo Novecento, che a quella diffidenza e ai suoi ostacoli s’è ribellato, trasfigurandosi e trasformandosi da pacifico, sognante, operoso cittadino, in pluriomicida. L’idea di Papa Francesco, come dev’essere ogni idea d’un Papa, è complessa ma non utopica, e non tiene conto d’un fatto che, invece, illumina tutto il libro di Garofalo, e cioè che la violenza e il male hanno ragioni, possono essere contraccolpi, rappresaglie d’un bene ostacolato, ma possono pure esistere e basta, manifestarsi a un certo punto perché sì, perché esistono. Di questo romanzo qui sta il centro, o la forza: la narrazione mantiene una prospettiva doppia sul suo protagonista, da una parte lo racconta come un uomo che viene indotto alla violenza e, dall’altra, come un uomo che non avrebbe potuto far altro che diventare un assassino, perché sì. Quando, in “Funny Games” di Haneke, una vittima dei sadici protagonisti chiede loro perché fanno quello che fanno, uno risponde: “Perché no?”. Lì sta il punto sul male. Ci sono, in questo libro, molte scene governate da quel “perché no?” e, insieme, da un ordine logico e intoccabile.
Veniamo alla trama. E’ il 1914, e in un minuscolo paesino di montagna del bergamasco circondato da “boschi cedui”, Simone Pianetti ammazza sette persone, una dopo l’altra, nella stessa mattina d’estate, con un fucile che è abilissimo a usare, “Guglielmo Tell pure senza mele”. Alla strage Simone arriva alla fine del romanzo, che è la storia di come il suo paese, la montagna che lo opprime e lo eleva, lo portano, forse persino lo costringono. Perché Simone è nato con una taglia sulla testa: viene da una famiglia di lettori, di ingegnosi e, soprattutto, di “gente venuta da fuori”. Nonostante i borbottii, lo scandalo che tutti rintracciavano in lui e nei suoi, la certezza con cui in paese si sosteneva che i Pianetti avessero firmato un patto col demonio, Simone aveva provato lì a far funzionare una locanda e un mulino, venendo continuamente osteggiato.
Si tratta di un fatto vero, questo Guglielmo Tell senza mele è esistito, nessuno sa che fine abbia fatto perché dopo gli omicidi aveva evitato di obbedire a sua madre che gli aveva offerto rifugio, ché lui “stava bene in bilico”, ed era scappato, svanendo tra i monti e alimentando così una leggenda che da quelle parti è rimasta in certi motti, forse anche in alcuni fantasmi. E’ un libro d’avventura, questo, e parla di quanta poca giustizia sia riservata ai giusti, e di come sia efferata e impunibile la provincia italiana. Ha un difetto: è scritto troppo bene, ha una voce fin troppo intonata al tempo dell’ambientazione. E’ che Garofalo è bravo. A volte lo è troppo, tutto qua.
Mauro Garofalo
Ballata per le nostre anime
Mondadori, 348 pp., 19,50 euro