Il muro
La recensione del libro di John Lanchester, Sellerio, 296 pp., 16 euro
Sul muro fa freddo. E’ la prima cosa che ti dicono tutti, ed è anche la prima cosa che noti quando ti ci mandano; è la cosa a cui pensi tutto il tempo, quando ci sei sopra, ed è quella che ricordi quando non sei più lì. Sul muro fa freddo”. Inizia così l’ultimo lavoro di John Lanchester, intitolato Il muro ed edito da Sellerio. Un romanzo distopico in cui l’autore, attraverso una prosa ipnotica e ossessiva ai limiti del claustrofobico, traccia un angosciante ritratto dei nostri tempi. Dentro c’è tutto: il cambiamento climatico, la Brexit, Donald Trump, gli immigrati, la crisi demografica, l’odio intergenerazionale e l’incapacità assoluta della politica. Il mondo ha subìto un cambiamento catastrofico e irreversibile che ha modificato morfologicamente le coste facendo scomparire tutte le spiagge. Inondato dalle acque sempre più alte, il pianeta è ridotto ad una manciata di terre emerse abitabili. A protezione dei paesi vengono costruite barriere alte cinque metri e pattugliate ventiquattro ore su ventiquattro dai Difensori, il cui compito è quello di proteggere la nazione dagli Altri, nient’altro che dei migranti, disposti a tutto, a cui è ovviamente vietato l’ingresso. “Arrivano su barche a remi e gommoni, su salvagente, a gruppi e a frotte, coppie, tre per volta, da soli. Sono furbi, sono disperati, sono spietati. Lottano per la sopravvivenza”. Nessuno vuole prestare servizio sul muro, quindi ogni giovane adulto deve servire la nazione e fare una sorta di servizio militare della durata di due anni. Il suo lavoro consiste nello sparare e uccidere. Ogni unità che non riesce a tenere fuori gli Altri viene esiliata, fatta salire su un gommone, messa in mare e lasciata morire alla deriva. Gli Altri che riescono a oltrepassare il muro diventano schiavi di proprietà dello stato. Il protagonista della vicenda è il giovane Kavanagh, occhialuta matricola al suo primo giorno di servizio sul muro, costretto a guardare il mare per dodici ore al giorno con un fucile in mano.
Giornalista del New Yorker, scrittore di straordinario successo, nato ad Amburgo nel 1962, cresciuto a Hong Kong e ora residente a Londra, John Lanchester, dopo essersi occupato in passato di economia e finanza, in questo romanzo esplora il delicato tema del global warming. A suo giudizio, il cambiamento climatico è l’eredità più letale che verrà lasciata alle nuove generazioni. Allo stesso tempo, analizza il pericoloso andamento dei trend nella società e nella politica, sempre più orientati verso l’incremento delle divisioni, delle barriere e dell’esasperata ricerca di separazione tra il mondo ricco e quello povero. La Gran Bretagna, ossessionata dalla Brexit, viene pesantemente accusata di aver voltato le spalle al resto dell’umanità e di essersi totalmente disinteressata di ciò che non la riguardava direttamente. Lanchester ha capito perfettamente che il mondo sta lentamente andando all’inferno, al lettore non viene lasciato nemmeno un briciolo di speranza. Ciononostante, è probabile che questo romanzo faccia bene, se non molto bene, a chiunque si prenda la briga di leggerlo.
John Lanchester
Sellerio, 296 pp., 16 euro
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