Midland a Stilfs

Alessandro Litta Modignani

La recensione del libro di Thomas Bernhard, Adelphi, 120 pp., 12 euro

Per noi Stilfs non è, come si è detto, un luogo ideale, bensì micidiale. La nostra esistenza è un’esistenza micidiale (…) Per tutti, è sempre stato la quintessenza del silenzio e del raccoglimento, mentre in realtà non è mai stato altro che un covo ad alta quota di ottusità e imbecillità, un centro di imbecillità culturale”. Anche in questi tre racconti, il primo dei quali dà il titolo al volume, Thomas Bernhard tratta dei temi ricorrenti, a lui da sempre congeniali, quali la nevrosi, la malattia mentale, il suicidio. “Il nostro destino si chiama Stilfs, perpetua solitudine (…) Quello a cui vogliamo sfuggire ma che ci imprigiona in modo sempre più spietato, una condizione permanente e insuperabile (…) Per noi Stilfs è apatia, disgusto e disperazione”. In questo inferno di solitudine, gli abitanti della fattoria temono, anzi odiano i visitatori, ai quali tuttavia si aggrappano con la disperazione di chi è completamente tagliato fuori dal mondo esterno.

  

Saltuariamente fa la sua comparsa il forestiero Midland, che suscita inquietudine e sgomento. Ben lungi dal rappresentare un elemento di raziocinio, l’Inglese è a sua volta un personaggio enigmatico, bizzarro, ripetitivo. Viene regolarmente a Stilfs a visitare la tomba della sorella, morta in un incidente di montagna – forse un suicidio; ma è solo una scusa, un pretesto per immergersi in un non-luogo vuoto e privo di senso. Midland è un “esploratore dell’alienazione mentale”: la ragione delle sue visite non è la sorella morta, è Stilfs.

  

L’Inglese si perde in interminabili monologhi, non dorme mai, si aggira senza scopo apparente nel microcosmo della fattoria, turbando le menti malate del patologico nucleo famigliare. L’intero ambito del civile, sostiene Midland, è pervaso da una malattia mortale: “Degli scrittori parla con freddezza intellettuale. Dell’arte con disprezzo. Della filosofia con scherno. Odia la scienza così come odia la chiesa. Per lui il popolo non è altro che bofonchiante imbecillità”.

 

Le parole di Midland sono disturbanti e la sua presenza a Stilfs risulta deleteria: “Se oggi tutto è anacronismo, come ha detto l’Inglese ieri, Stilfs dev’essere un anacronismo ben grande! Sarebbe logico, sarebbe coerente che noi ci suicidassimo senza indugiare, perché l’unica coerenza ancora possibile per noi, oggi, è quella di suicidarci”.

  

Nel secondo racconto, “Il mantello di Loden”, un vecchio signore ripete e ripete compulsivamente la sua storia, una squallida vicenda di emarginazione e invidia famigliare, ma il protagonista si distrae, interessato assai più al soprabito dell’interlocutore che alla sua banale disputa con figlio e nuora. Il terzo episodio, “Sull’Ortles”, vede protagonisti due fratelli vessati in gioventù dal padre, una figura ricorrente nell’universo bernhardiano (“Cemento”, “Amras” e altro ancora).

  

Qualcuno ha creduto di leggere in Midland a Stilfs delle “narrazioni pervase di ironia”, qualcun altro ha scritto che “si ride di un’umanità mostruosa”. Noi vi abbiamo trovato solo disperazione, e una tragedia senza scampo.

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