Che dispiacere

Piero Vietti

La recensione del libro di Paolo Nori, (Salani, 241 pp., 16 euro)

E niente, adesso succede che, quando perde la Juventus, la gente mi scrive per complimentarsi con me perché ha perso la Juventus. Che io, sono gentili, ma non è merito mio”. Con questo tweet dopo la sconfitta della Juve a Udine, un paio di settimane fa Paolo Nori promuoveva il suo ultimo libro, Che dispiacere. Cosa c’entrino i bianconeri con il suo primo romanzo giallo è presto detto: il protagonista, Bernardo Barigazzi, è uno scrittore di successo, traduttore di russi (ma tu guarda), che dopo vent’anni si è un po’ stufato di fare quello che fa, e si inventa un giornale assurdo che firma con pseudonimo. Il giornale si chiama Che dispiacere, ed esce soltanto il giorno successivo a una sconfitta della Juve: pochissimi numeri all’anno, dunque, ma successo di vendite garantito. Non lasciatevi ingannare, il libro di Nori non è roba da gufi antijuventini, ma un piccolo gioiello pieno di ironia che ci interroga su quello che nella vita vale la pena fare e su chi vale la pena amare. Scrive Ivan Piri, lo pseudonimo con cui Barigazzi firma Che dispiacere, che lui da ragazzo andava a vedere il Parma in Serie C, “e quando il Parma perdeva, io mi ricordo che tornando a casa mi chiedevo: ‘Ma cosa ci vado a fare, a prendere tutto quel freddo?’ […] Mi sbaglierò, ma quando perdi, che poi non perdi te, perdono loro, ma a te ti dispiace, e magari perdi quattro a zero, o cinque a uno, e nell’andare a casa guardi per terra e vedi tutte le foglie, tutte le crepe che ci son sull’asfalto e ti vien da pensare a tutto quello che non va mica bene nella tua vita, a tutte le cose che ti eri ripromesso che le facevi e poi non le hai fatte, tutto il freddo che hai preso, ecco secondo me, quei momenti lì, che te ti chiedi ‘Ma che vita sto facendo?’, secondo me quelli sono momenti che a me piaccion di più, di quando sei in centro, imbottigliato sopra una macchina, che canti l’inno nazionale con una bandiera in mano e la faccia dipinta di blu, o di tricolore o di biancocrociato o in qualsiasi altro modo”. Ma Che dispiacere non è neppure l’elogio triste della sconfitta che fa tanto cinema e letteratura italiani: i personaggi di Nori si arrabattano, sperano, amano, si fanno i fatti degli altri, fanno il loro mestiere, provano a essere più grandi di quello che sono, vivono felicemente infelici senza crogiolarsi nella sfiga. “Ma che vita sto facendo?” è la domanda che in fondo hanno tutti, anche se qualcuno di loro non lo sa. Con la sua scrittura parlata Nori rende leggero ma mai superficiale ogni racconto: la storia di un omicidio, la caccia al sospettato, le indagini, sono mescolati alla storia surreale del giornale Che dispiacere, alle spacconate da bar di un pensionato che non si vergogna di essere stato, una volta, innamorato di sua moglie, al lutto imprevedibile che ha segnato Barigazzi, alle mirabolanti imprese sessuali di Stefania, la coinquilina di Marzia, che fa la barista e invece lei si è innamorata. Ci sono Goncarov, Sklovskij, Mandel’stam e Anna Karenina dietro alle storie che abitano queste pagine, c’è un gatto che si chiama Speranza perché ha gli occhi a palla come il ministro della Salute, e c’è un vecchio libro in cui Marzia aveva letto che “i crociati, durante la prima crociata, tutte le città che trovavano le scambiavano per Gerusalemme. Poi guardavano meglio, e si accorgevano che non era, Gerusalemme. Allora facevano un pogrom. Perché erano offesi. Comunque, Gerusalemme esiste”.

 


 

Paolo Nori
Che dispiacere
Salani, 241 pp., 16 euro

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  • Piero Vietti
  • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.