Attraverso il paradiso
La recensione del libro di Sam Shepard, il Saggiatore, 399 pp., 22 euro
Andiamo sempre alla ricerca di nuovi titoli e voci inedite che possano entusiasmarci, ma quando una casa editrice si dedica alla riscoperta di un autore bisogna renderle merito. In tal senso il Saggiatore si sta adoperando per ripubblicare le opere di Sam Shepard con una nuova traduzione, rinnovando la portata delle visioni desolate dello scrittore statunitense scomparso nel 2017. Drammaturgo di chiara fama, vincitore del Premio Pulitzer per Il bambino sepolto, Shepard ha firmato la sceneggiatura di capolavori del cinema – “Zabriskie Point”, “Follia d’amore”, “Non bussare alla mia porta” e “Paris, Texas” – e la sua lettura amara e desolante della vita non ha mai perso intensità.
Dopo Il grande sogno e Motel Chronicles, ecco Attraverso il paradiso (da tempo irreperibile e qui nella nuova traduzione di Andrea Buzzi) in cui troviamo l’America della frontiera, una landa senza tempo sospesa fra il passato e il presente in cui si alternano numerosi racconti riuniti da un elemento comune, quello sguardo di epica disperazione verso la realtà delle cose. Storie minimaliste, piccoli contrattempi o situazioni ormai incancrenite e senza via d’uscita: a Shepard bastano poche frasi e una grande economia di parole per dare vita a scenari solitari e desolanti come un motel con le imposte sbarrate o una stazione di servizio abbandonata lungo una strada chiusa da un pezzo, in cui tutto va in malora, preda della ruggine e del disamore.
E ancora, ecco il realismo spietato dell’America dimenticata, fatta di tavole calde in provincia, asfittiche camere d’albergo con lenzuola stropicciate e città spettrali, vere e proprie terre di nessuno. Ma la desolazione si ferma alle atmosfere, poiché in queste fotografie ritroviamo tutta la potenza dell’autore americano anche con dialoghi ritmati in cui non esiste alcun trionfatore, richiamando Steinbeck e l’assurdo di Beckett con prose asciutte e dolorose, muovendosi fra un finto combattimento tra galli, rocker di provincia, cani randagi e un uomo che continua a varcare il confine con il Messico per soddisfare le proprie voglie.
In poche pagine, talvolta un paio e altre volte una decina, Shepard compie voli pindarici su esistenze in caduta libera, aprendo e chiudendo la finestra con un linguaggio accurato, acuminato come l’urlo di un coyote nel cuore della notte.
Ecco, Sam Shepard ci riporta nel West e aggiorna quell’idea di frontiera che ha alimentato per lungo tempo i sogni di gloria del popolo americano, aizzandone anche gli istinti più biechi fra polvere e asfalto rovente, stivali logori e sigarette che bruciano nel buio del deserto a perdita d’occhio. Il risultato sono i titoli di coda sul mito a stelle e strisce, gli ultimi spasimi delle nostre illusioni di salvezza con un alternarsi di short stories e dialoghi alternati, ruvidi e acuminati, tutti giocati su questa malinconica sensazione di un tempo giunto ormai agli sgoccioli. E nonostante tutto, abbiamo bisogno di leggere Shepard ancora e ancora.
Sam Shepard
il Saggiatore, 399 pp., 22 euro
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