Il decoro
La recensione del libro di David Leavitt, Sem, 351 pp., 17 euro
C’è un profumo di antico che si unisce al moderno e a quel gusto più ricercato per tutto ciò che è bello e che fa stare bene – almeno in apparenza – in questo nuovo libro di David Leavitt che a soli venti anni, con Ballo di famiglia e poi con La lingua perduta delle gru divenne uno scrittore centrale della nuova narrativa americana. Qui ci riporta a quattro anni fa, sempre nella sua America, quando fu eletto il presidente col ciuffo arancione che scatenò un sentimento misto a rabbia e ilarità nelle classi degli intellettuali più agiate e progressiste. Come è stata possibile una cosa del genere, si domandano gli ospiti di Eva, la padrona di casa che li provoca con una domanda: “Vi andrebbe di chiedere a Siri come assassinare Trump?”.
Siamo in una splendida villa del Connecticut, una di quelle in cui il verde del prato e il colore dei fiori si abbinano perfettamente con le verande e i divani di vimini bianchi. E’ autunno, non fa freddissimo, ma un cardigan in cachemire può sempre essere la soluzione, come dice il marito Bruce, un uomo accomodante originario del Wisconsin che beve il gin tonic di nascosto. Con lui Eva condivide anche un appartamento su Park Avenue e ben tre terrier Bedlington, cani simili ad agnelli o foche, che hanno i nomi di personaggi di Henry James: Caspar, Isabel e Ralph. La sua sfida scatenerà reazioni diverse tra gli amici e solo un editore si dice pronto a raccogliere. “Il miracolo per un uomo è un incubo per un altro”, gli dirà in una cena successiva una volta rientrati a New York. Trump “è rozzo, ma almeno è un rozzo dei nostri, di una rozzezza newyorchese”. Dai periodi più bui ci può essere sempre un cambiamento. Nessuno legge più le biografie – farà notare – nessuno legge più le raccolte di racconti o la poesia. “La gente vuole soltanto libri su quanto è stronza Hillary Clinton”.
Se è vero che il novanta per cento di quello che viene pubblicato non ha alcun valore, “con un po’ di fortuna questo sarà il lato positivo di queste elezioni del cazzo”. “Quando gli scrittori si sentiranno di nuovo oppressi, ricominceranno a scrivere libri che varrà la pena di leggere, al posto di tutta quella merda scritta sotto la presidenza Obama, roba da medio borghesi idioti, egocentrici liberal, gente che ha solo da stare lì a guardarsi l’ombelico”. Tutti quelli che si chiamano Jonathan sono avvisati.
Eva è “allergica” a Trump, ma non è andata a votare, perché c’era troppa fila al seggio. Preferisce quella degli aeroporti, magari per andare a Venezia, la stella polare per un’americana come lei, e comprarci casa. La democrazia non è certo il sistema migliore quando è utilizzata a vantaggio delle persone che vogliono depotenziarla, fa notare Leavitt in questo libro che, nel raccontarci amori e dissapori di una élite persa nel suo nulla (che poi nulla non è) tra altruismo e autoconservazione, ricorda molto Il grande freddo e Le invasioni barbariche. Brillante quanto struggente, vi conquisterà.
David Leavitt
Sem, 351 pp., 17 euro