Viaggio in oriente

Claudia Gualdana

La recensione del libro di Gérard de Nerval, Edizioni Ares, 702 pp., 24 euro

C’è un nesso tra la dissipazione che contraddistingue l’avventura umana di Gérard de Nerval e la sua opera forse più amata, Viaggio in oriente. Il talento che pubblica prima ancora di diplomarsi e brucia la vita, come un fuoco che divampa improvviso e tutto divora, e il concedersi ai templi dell’altrove, a Parigi sperimentato solo con l’alcol o con il fumo, poi per le vie del mondo. Ci vuole maestria per perdersi pur dimorando nell’arte, e a De Nerval certo non è mancata.

  

Il figlio dell’ufficiale medico napoleonico e della borghesia parigina non abbandona le sue radici – i giorni prima del suicidio lo sentirono invocare il perdono di Cristo e della Vergine – solo ha troppa sete per non abbeverarsi altrove. Egli è un viandante, o meglio un pellegrino laico.

 

Il suo oriente inizia subito a est di Parigi, quando si muove verso la Germania e Vienna, e infatti il suo racconto parte da lì. Anche questo è geniale: c’è qualcosa di straniero, orientale a dispetto delle apparenze, nello spirito teutonico, che De Nerval conosceva fin troppo bene, lui che resta tuttora uno dei più pregevoli traduttori del Faust. Ed ecco che scendendo verso la Grecia, se non vende l’anima al diavolo per conoscere le vie del mondo poco ci manca. Gli sembra di vedere la dea Eos, l’alba dalle dita rosate, e non si risparmia.

   

Il viaggio di De Nerval non è da studioso, men che meno da turista o da colonialista: niente alberghi, pochi consolati, innumerevoli luoghi e volti. Si sente che cammina tra le strade e incontra persone di ogni condizione e mentalità. Dall’Egitto, al Libano a Istanbul attraverso di lui conosciamo costumi e religioni, moschee, chioschi e giardini. L’oriente di De Nerval vive in un eterno presente, come se non avesse mai preso commiato dall’antico.

 

Il viaggio sapienziale di questo Zelig che si cala in contesti esotici e sconosciuti è fatto anche di incontri. Zeynab, la schiava giavanese comprata al mercato che gli combina un sacco di guai; Salima la drusa, di cui si innamora. E poi odori e suoni. E’ mattino quando la nave Santa Barbara si avvicina al molo di Costantinopoli e sente una voce maschile cantare parole sconosciute in un dialetto turco. Si sente un po’ Ulisse quando viaggia per mare e completamente sperduto quando sbarca di fronte a un universo sorprendente, come se fosse ogni volta un racconto de Le mille e una notte: “Gli stracci più pittoreschi, le razze più diverse si stringevano su stuoie, materassi, tappeti bucati, raggianti della luce di quello splendido sole che li copriva con un mantello d’oro”.

 

Dev’essergli piaciuto anche troppo non fare “più parte di un mondo come si deve” e assistere alle danze dei dervisci. Ma tornò a Parigi, pubblicò il libro a puntate sulla Revue des Deux Mondes e poi finalmente come opera compiuta nel 1851. Visse ancora solo quattro anni – lo trovarono impiccato in un vicolo di Parigi – ma quest’opera, con poche altre, lo aveva già consegnato all’Olimpo dei grandi scrittori francesi dell’Ottocento.

  

VIAGGIO IN ORIENTE

Gérard de Nerval
Edizioni Ares, 702 pp., € 24 euro

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