Una fogliata di libri

Chav-solidarietà coatta

Edoardo Rialti

La recensione del libro di D. Hunter (Alegre, 152 pp., 15 euro)

Uno sguardo di amore e comprensione laddove tutti gli altri sguardi sono volti freddi altrove”. Questa celebre invocazione di Dickens che nel “Pickwick” raccontava la carcerazione infantile è così sottoscrivibile a distanza di oltre un secolo. Diverso è quando la medesima verità esperienziale viene raccontata oggi senza la fuliggine vittoriana ma anche senza tante automitologie aspirazionali: “Ovviamente Samantha non mi pagava per ascoltarla con compassione, e nemmeno per la mia empatia. Mi pagava per picchiarmi con una cintura”. 

 

E’ davvero un pugno nello stomaco questa raccolta di esperienze personali e riflessioni dedicata alla “vita intellettuale di chi vive nella povertà”, e scritta, come notò il traduttore Alberto Prunetti, con la limpidezza d’un tema delle medie al termine del quale la maestra si butta dalla finestra. Hunter racconta la propria giovinezza nel sottoproletariato di Nottingham, tra scontri di bambini organizzati dai parenti, furti, alcool, droghe, aggressioni, carceri e istituti mentali, il tutto permeato da un flusso costante di abusi sessuali e fisici, un mondo dove si va a scuola per mangiare quando non si è rubato un portafoglio e si è stuprati dagli amici del nonno con le stecche da biliardo; in cui si impara davvero a leggere percorrendo i Quaderni dal carcere di Gramsci mentre si è a propria volta in prigione, fino a diventare anonimi quarantenni, apparentemente miti e con un tetto sopra la testa. Ma non si tratta – appunto – dell’ennesima favola di redenzione, anzi questo meccanismo di semplificazione e rimozione, per cui alle classi più povere e flagellate si chiede di migliorarsi, farsi sedare o detenere, viene guardato dritto negli occhi, mostrando come molti abusatori non siano meno vittime del contesto sociale rispetto a coloro che violentano: “Se non ci riesci, saranno le istituzioni statali a gestire te. Punzecchieranno la tua psiche, creando nuovi traumi e facendo sanguinare vecchie ferite”. Ma come si può chiedere aiuto se non si hanno nemmeno le parole per esprimersi? Anche qui, si ha un bel citare don Milani e le parti uguali tra diseguali, altro è vedere la differenza abissale sancita dal capitale culturale. Sono pagine che non solo palesano con una sorta di serafico nitore il disprezzo e lo sfruttamento su cui si basa la società capitalistica e consumistica, ma dimostrano altresì come questi permeino anche le buone intenzioni di tanti “movimenti sociali, pieni di persone che si comportano come gli assistenti sociali, i giudici e le persone a cui rubavo in casa”, dei “papponi della miseria”, gli intellettuali sempre pronti a evangelizzare o di “chi a vent’anni sceglie esplicitamente di vivere senza denaro e poi pretende di contare quanto chi non ha alcuna possibilità di scelta”. Le resistenze e le solidarietà vere non sono chiare come l’acqua, ma scure come il sangue. Il pendolo oscilla così tra “l’esperienza traumatica di essere ancora vivi” e “il desiderio di vivere a lungo” suscitato da chi è davvero in grado di farci compagnia. 

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D. Hunter
Chav-solidarietà coatta
Alegre, 152 pp., 15 euro
 

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