Una fogliata di libri

La vita dentro

Francesca Pellas

La recensione del libro di Edwidge Danticat (Sem, 206 pp., 18 euro)

Chi emigra lo sa, che da lontano si vive sempre con una terza dimensione nel mezzo degli occhi, nascosta da qualche parte dietro al bulbo oculare. La terza dimensione dell’emigrato è quella in cui si vivono gli eventi a cavallo tra qui e là, il piano del possibile e allo stesso tempo dell’impossibile: come sarebbero le cose adesso, se fossi rimasto? Come sarebbe se qui ci fossero anche loro? Quelle realtà parallele entrano nei giorni, ci ballano in testa, ci colonizzano i pensieri. Come se fossero reali. Ecco perché è importante che chi sta a cavallo tra due mondi scriva: perché scrive di un mondo che è anche altro. Un mondo in più che poggia in un luogo pieno di vento e non è raggiungibile se non così, senza più appartenere al posto di prima e senza appartenere completamente al posto di oggi. Vivendo nella terza dimensione.

 

Nel caso della grande Edwidge Danticat, scrittrice haitiana e statunitense, questa cosa è ancora più importante. Lo è perché in un caso come il suo si dà voce a una diaspora, ovvero un’emigrazione all’ennesima potenza, che diventa fatto culturale e produce uno smottamento del quotidiano per una comunità intera. In Molto forte, incredibilmente vicino di Jonathan Safran Foer il bambino protagonista e suo padre fantasticavano sull’esistenza di un sesto distretto di New York, un borough fantasma perduto nel tempo, andato alla deriva nella baia. In La vita dentro di Edwidge Danticat, uscito da poco per Sem, il sesto distretto è reale, ed è appunto il mondo della diaspora haitiana negli Stati Uniti. Sono storie fatte di qui e di là, e della dimensione ventosa che collega i due luoghi creandone uno in più nella mente. C’è una donna tradita dal marito con la sua migliore amica, a cui marito e migliore amica rubano i risparmi con l’inganno per poter lasciare Miami e tornare ad Haiti. C’è la ragazza di Haiti che viene contagiata con l’Hiv da un turista che le ha fatto credere di amarla e le ha regalato un anello che vale meno di niente (“C’è anche un nome per quegli anelli: le fedi di Port-au-Prince”, dirà la sua datrice di lavoro). C’è la ragazza americana che vuole lasciare l’università per andare a lavorare in un’organizzazione che aiuta le donne haitiane vittime di stupro. C’è la ragazza di origine haitiana che vuole studiare la mitologia taino e vedere i templi. Ci sono gli uomini e le donne che cercano di raggiungere la Florida per mare e annegano durante il tragitto. Soprattutto, ci sono la nostalgia e il regno del possibile. Ci sono i confini attraversati nella realtà e quelli varcati nella mente. Per chi arriva negli Stati Uniti da una parte meno fortunata del continente americano, i confini reali sono tanti e diversi. Per i messicani e i guatemaltechi il confine è quello del deserto, fatto di un treno che si chiama “La bestia” e di giorni passati a camminare senza mangiare né bere per arrivare in Texas. Per gli haitiani la meta è molto spesso Miami, e il confine è quello del mare e di una barca da trovare. Per tutti, ce n’è anche uno dietro agli occhi: lì però si continua a vivere a cavallo dei bordi, tra la vita lasciata e quella a cui si è andati incontro. Se ne vive una terza, fatta di tutto ciò che c’è e anche di tutto ciò che non si vede, e la si passa a chiedersi se, se, se. 

 

Edwidge Danticat
La vita dentro
Sem, 206 pp., 18 euro

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