Una fogliata di libri
Oregon Hill
La recensione del libro di Howard Owen (NN Editore, 288 pp., 18 euro)
Willie Black è un reporter di Richmond, Virginia. Ha tre ex mogli, una figlia che gli parla a stento, e il vizio di bere sempre qualche birra di troppo. Lavora nel giornale cittadino e un tempo si occupava di politica, ma da un po’ è stato retrocesso e messo nuovamente a fare quel che faceva agli inizi della sua carriera, trent’anni prima. Sui biglietti da visita, che non ha mai tempo di cambiare, si è limitato a tirare una riga su “politica” e a scriverci sotto “cronaca nera”. Viene da Oregon Hill, un quartiere tagliato fuori dal resto della città dalla expressway, la superstrada: uno di quei luoghi che si tengono in piedi grazie a un sistema di valori e a regole che valgono solo lì. La vita del reporter di nera è abbastanza semplice, se uno non si fa impressionare dal sangue, e ha i suoi capisaldi nella birra, negli orari strampalati, e nell’ascolto religioso dei bollettini della polizia. Una notte però, anziché il solito dispaccio su un regolamento di conti tra piccoli malavitosi, arriva una notizia vera: nel fiume South Anna c’è un corpo senza testa incagliato in un ramo. Il corpo si rivelerà essere quello di una studentessa al primo anno di università originaria di Boston, Isabel Ducharme; lei è stata decapitata, e la sua testa spedita al padre con un corriere. E’ così che inizia Oregon Hill di Howard Owen, pubblicato da NN Editore. Come spiega molto bene Chiara Baffa nella nota del traduttore (tutti i libri in traduzione di NN la contengono, idea magnifica), il titolo non è casuale, poiché “fin dalla Los Angeles di Raymond Chandler, nei romanzi noir e hard-boiled l’ambientazione è sempre stata un fattore fondamentale. Da paesaggio sfocato, la città del noir diventa una sorta di sfondo animato e pensante”. Non si poteva dire meglio, come sa chiunque ami non solo l’hard-boiled americano ma anche il noir in generale e il nostro noir mediterraneo, che ha nei romanzi di Jean-Claude Izzo e in quelli del nostro Massimo Carlotto due esempi spettacolari. Le mappe su cui si muovono i “detective” al centro di queste storie sono ben più di semplici cornici: respirano, vivono, sono personaggi a tutti gli effetti. E se si pensa al Veneto e alla Padova dell’Alligatore, si vedrà che nel loro farsi oggetti vivi e pensanti non sono così distanti rispetto alla Los Angeles di Chandler e alla Richmond in cui si muove Willie Black. I protagonisti dei noir non sarebbero quello che sono senza i loro luoghi. Fatta questa importante premessa, si può passare a dire quanto Black sia straordinariamente americano. Lo è nel modo che ha di pensare all’alcol (e in ciò che beve), nella sua propensione a sposarsi e a divorziare, e nella sua fedeltà, nonostante l’insofferenza verso i superiori, a un piccolo giornale di provincia. Ormai è tardi per fare carriera, per vincere un Pulitzer, per essere un buon padre, ma non è tardi per entrare in quest’indagine fumosa senza farsi spaventare da ciò che dovrebbe far tentennare anche il reporter più coraggioso, per esempio la domanda: che cosa sta nascondendo la polizia? Chi ama il genere lo sa che i migliori detective sono quelli che non hanno niente da perdere. Così come sa che, in un modo o nell’altro, il noir prevede sempre un cerchio che si chiude: si finisce sempre dove tutto ha avuto inizio, in questo caso Oregon Hill.
Howard Owen
Oregon Hill
NN Editore, 288 pp., 18 euro