Una fogliata di libri

Garibaldi

Andrea Frateff-Gianni

La recensione del libro di Luciano Bianciardi (minimum fax, 153 pp., 14 euro)
 

    Luciano Bianciardi fu un intellettuale insofferente, tormentato e discontinuo. Oltre allo scrittore, durante la sua breve vita fece anche il traduttore, l’insegnante, il giornalista e per un breve periodo il consulente editoriale per la neonata casa editrice Feltrinelli, da cui venne poi licenziato per scarso rendimento o forse (diciamo noi) per l’incapacità di venire a compromessi con il sistema. “Ma si può sapere cosa te ne frega a te di Garibaldi?”, gli chiese una volta l’amico Giovanni Arpino, perché in effetti, come scrive Giancarlo De Cataldo nella postfazione di Garibaldi, (riedito oggi da minimum fax), da un tipo come lui, “anarchico, ribaldo, irriducibilmente mai riconciliato con una qualche astratta normalità del Bello Scrivere, al culmine di una vita urlata, di un’esistenza contro, ci si aspetterebbe la desacralizzazione del sacro, la demitizzazione del mito, l’abbattimento della statua, il disegno dei baffi alla Gioconda”, piuttosto che un ritratto appassionante e appassionato dell’“Eroe dei due mondi”. Tutto comincia a Grosseto, Bianciardi è ancora un bambino e il padre aspetta che impari a leggere per regalargli I mille di Giuseppe Bandi, libro che si rivelerà essere fondamentale per la sua formazione e che gli darà una felicità immensa come mai più nessun libro riuscirà a fare. 
    Pubblicato postumo per la prima volta nel 1972, il Garibaldi di Bianciardi conclude un lungo percorso di lavori che lo scrittore de La vita agra dedicò al Risorgimento, periodo per il quale sviluppò un’autentica ossessione, ritenendolo modello di rivoluzione popolare, cui è mancato lo slancio per diventare una rivoluzione sociale permanente. Prosecuzione ideale di Da Quarto a Torino e Antistoria del Risorgimento, Garibaldi, scritto da Bianciardi durante quello che i critici chiamano “l’esilio di Rapallo”, racconta la storia del famigerato condottiero, partendo dall’infanzia nizzarda arrivando fino alla vicenda contorta del vitalizio che gli fu proposto dallo stato italiano, passando attraverso l’esperienza americana. “Ancora oggi, per molta gente, il Garibaldi della leggenda torna più comodo del Garibaldi della realtà. Noi, modestamente, abbiamo cercato di farlo scendere dal piedistallo, di ritrovarlo uomo”, scrive alla fine del libro. In effetti, è proprio così che viene raccontata la storia della sua impresa, mischiata ovviamente a quella degli altri protagonisti del tempo. Molte pagine  verranno dedicate anche all’odiatissimo Cavour, soprannominato “il diabolico conte”, e all’abilissimo rivoluzionario Mazzini, ritratto come una specie di Osama Bin Laden dell’epoca. Puntualissimo dal punto di vista storico e scritto con lingua vivace e scorrevole, il lavoro di Bianciardi rimane unico nel suo genere e forse viene da dire che ancora oggi potrebbe essere considerato il capostipite del romanzo storico tornato tanto di moda di recente grazie all’inaspettato successo di M di Antonio Scurati sulla parabola di Mussolini.

       

    Luciano Bianciardi
    Garibaldi
    minimum fax, 153 pp., 14 euro