Nel silenzio tra due onde del mare”. La poesia, in questo verso di Eliot, è una pausa tra pensieri e gesti, un crocevia sulla spiaggia dove inspirare ed espirare a occhi chiusi, per riaprirli e fronteggiare un altro te stesso. Per l’autore dei Quattro Quartetti, compito del poeta era “purificare il dialetto della tribù” dalle continue incrostazioni, e anche questo saggio di Anne Carson, traduttrice, docente e poeta, è dedicato alla pulizia d’una stanza interiore, così come fu tentata dal greco Simonide, primo cantore a “stabilire relazioni specifiche tra poesie e denaro” e dall’esule contemporaneo Celan. Entrambi vissero l’intersezione tra mondi e sistemi economici diversi, interrogandosi sulle implicazioni niente affatto limpide e facili “della vocazione poetica. Vendere poesie ingenera il dubbio su quale possa essere il loro valore e su chi possa quantificarlo”. Le accuse degli antichi biografi esprimevano il disagio d’una società verso chi ne palesava e sfidava gli elementi in crisi. Euripide fu l’ateo sbranato dai cani perché sottoponeva totem e tabù all’investigazione razionale; Simonide, “colui che scrisse no più spesso di qualsiasi altro autore del suo tempo”, era invece lo spilorcio che colse con amarezza preveggente la messa all’angolo del poeta nella società capitalistica, e stabilì una negoziazione. Il processo in perpetuo svolgimento dalla concretezza particolare dei baratti e dei doni alla sempre maggiore astrazione del denaro, oggi in gran parte già immateriale, coinvolge e si confonde con la natura stessa del linguaggio, nostro principale strumento di scambio come specie. Transizione, traduzione, dono e compenso, la poesia comprende ed esprime tutti i nostri passaggi e le nostre consegne, dal trasporto dell’innamorato a quello del corpo morto al cimitero. Le parole possiedono la stessa natura ambigua del denaro, un valore preciso e quantificabile ma anche un rimando elusivo, simbolico, un elemento di gioco collettivo ora divertente, ora sinistro. E “l’economia del linguaggio” connette a sua volta visibile e invisibile, le presenze e le mancanze, nello spazio e nel tempo. E’ in fondo questa la natura della memoria, un movimento limitato del pensiero su uno sfondo infinito, “paradigma di ciò che il poeta fa dinanzi al vuoto. Lo pensa e lo ringrazia”. La poesia è tale spazio, tale punto d’intersezione, l’angolo che permette alla stessa Carson di aprire il libro ventesimo dell’Odissea e ritrovarci la propria cucina al mattino e il padre che gironzola in pigiama e lotta contro la demenza, ma anche, in Celan, “il balzo all’indietro di una cattiva conversazione e che purifica dall’illusione che sia possibile parlare”. Perché solo vagliare con rigore la speranza e la disperazione in ogni parola, cosa sia giusto conservare e cosa addirittura sperperare, consente di scovare “un frammento di tempo non esausto”, non consumato dalle tante riduzioni dentro e fuori di noi, e “impegnarsi in una conversazione che va oltre le parole e oltre il prezzo”.
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