Una fogliata di libri
Meccanica della rivoluzione
La recensione del libro di Augustin Cochin (Oaks, 360 pp., 25 euro)
Nella sua Critica della Rivoluzione francese, François Furet affer-mava che due autori sono indispensabili per comprendere quel che è avvenuto a fine Settecento sulle rive della Senna. Uno è ben noto, il Tocqueville de L’ancien Régime e la rivoluzione. Il secondo invece è di gran lunga meno letto, almeno dalle nostre parti. Forse perché ha scritto poco, dato che è morto a quarant’anni sui campi di battaglia della Grande guerra e i suoi saggi incompiuti sono stati pubblicati postumi un po’ in sordina. O forse perché appartiene a una schiera di pensatori decisamente poco popolare, dato che legge la Rivoluzione da un punto di vista tradizionalista e sottolinea il ruolo che nel prepararla ebbero le società di pensiero, inclusa la massoneria.
Ma chi, lette queste premesse, liquidasse Cochin come inutile reazionario, perderebbe l’occasione di leggere “la più lucida analisi” – parole di Furet – del fenomeno rivoluzionario. Che, nelle pagine di Cochin, si presenta come un fenomeno di “selezione meccanica”, che avviene in quelle forme associative peculiari che sono le “società di pensiero”, vero terreno d’incubazione della mentalità rivoluzionaria. Queste società non si occupano del mondo reale con i suoi vincoli concreti, ma esclusivamente del mondo ideale: non delle ragioni di questo o quel gruppo di interesse ma unicamente della “Ragione” del “popolo”; non delle molte libertà concrete del regno di Francia ma solo della “libertà” dell’“umanità”, e così via. In questa corsa all’astratto, “si verifica una selezione spontanea a favore di alcuni temperamenti meglio dotati per il gioco in questione”: gli spiriti più ideologici, con meno interessi reali, si trovano più a loro agio, mentre chi ha altro da fare finisce per partecipare alla vita delle società più distrattamente, più saltuariamente. Così i primi prendono in mano il gioco, sanno pianificare in anticipo gli interventi nelle assemblee, presentare le proprie tesi come già approvate dal resto delle “società”, organizzare le votazioni in modo da mettere ai margini i contrari, costruire campagne di opinione per ostracizzare i più ostinati, in modo che alla fine ogni risoluzione appaia come espressione della “volontà generale”. “I giacobini, insomma, sono il prodotto di una legge sociale, la legge delle società di pensiero, le quali, eliminando e raggruppando, condurranno infine a questo duplice inatteso risultato: il corpo sociale presenterà spontaneamente una disciplina e una coesione che l’intelligenza riflessiva non sarebbe stata capace di creare”.
Augustin Cochin è morto nel 1916, e non ha fatto in tempo a vedere la rivoluzione bolscevica; ma noi non possiamo non constatare come le sue analisi si attaglino anche a quelle vicende, nonché all’assemblearismo del Sessantotto e dintorni, come osserva il prefatore dell’altra opera di Cochin, Le origini del giacobinismo. Al lettore il piacere di scoprire come le sue osservazioni evochino anche tentativi rivoluzionari o pseudo tali di tempi a noi più vicini.
Augustin Cochin
Meccanica della rivoluzione
Oaks, 360 pp., 25 euro
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