La felicità degli altri
La recensione del libro di Carmen Pellegrino (La nave di Teseo, 160 pp., 18 euro)
Ci sono momenti della vita in cui è possibile chiamare a raccolta tutte le persone che siamo stati e dire loro che li si è amati. Che non importa quanto piccolo, infelice, o fitto di possibilità mancate sia stato il loro passaggio terreno: in ogni caso, hanno avuto ragione d’esistere. Tutto ce l’ha. Anche i bambini perduti, i fantasmi e il dolore, la luce e le ombre. Diciamo che nessuno ha dipinto la luce come Caravaggio, eppure Caravaggio dipingeva il buio: “Conosceva il luogo oscuro”, e conoscendolo riusciva a raccontarlo, facendo risaltare per contrasto le zone chiare. Questo spiega a Cloe il professor T. in La felicità degli altri di Carmen Pellegrino. E’ la storia di Clotilde, poi diventata Cloe, e in seguito Anais ed Esoluna (come le lune al di fuori del nostro sistema solare, grandi misteri, che potrebbero contenere altre forme di vita), nata in una famiglia maledetta dal non amore, che di sé dice “Come si conviene alle vite che vanno avanti, gli anni bene o male sono passati, anche se qualche volta ho sperato di crepare”. Una donna che non è vuota, perché il suo vuoto la riempie, le dà una forma diversa da quella della disperazione. E così, dopo gli anni trascorsi nello strano orfanotrofio sulla collina dove ha imparato l’amore venuto non dal sangue ma dalla bontà, Cloe, le sue lune e i suoi lupi si incamminano dentro un importante periodo vissuto a Venezia, città dove bere un bicchiere di vino si dice “andare a bere un’ombra”. E qui, al corso di Estetica dell’ombra all’università, incontra il professor T, venuto come lei da un mondo in cui al dolore non si dà il tormento, ma semplicemente lo si accetta, traendone riparo. Insieme fanno l’unica cosa che si può chiedere a un’anima sorella: si capiscono e si tengono compagnia in un modo che va oltre le parole, e somiglia a un salvataggio silenzioso. Il professor T è il ponte verso la sua parte oscura, la forza gentile che la sprona a fare i conti con il passato. “Là dove cresce il pericolo cresce anche ciò che salva”, dice Cloe a un certo punto citando un verso Hölderlin a lei caro. E in effetti è così: ad avere paura delle ombre si perdono solo le risposte che ci potrebbero dare.
Carmen Pellegrino è storica e “abbandonologa”, ovvero studiosa dei borghi disabitati e delle rovine di antichi insediamenti. Questo è il suo terzo romanzo (dopo Cade la terra e Se mi tornassi questa sera accanto, entrambi Giunti), ed è l’opera, scritta dal buio del cunicolo della miniera, di una mente in cui si sente forte l’oro.
Carmen Pellegrino
La felicità degli altri
La nave di Teseo, 160 pp., 18 euro