Una Fogliata di libri
I padri lontani
La recensione del libro di Marina Jarre (Bompiani, 192 pp., 12 euro)
Della nostra lunga ridefinizione dell’identità dovrebbe farci dubitare, talvolta, la certezza. La conduciamo come un passaggio di stato, un salto da illusione a verità. Non temiamo che qualsiasi identità cui approderemo ci destinerà a un’esperienza di frantumazione e soltanto dopo, forse, di sintesi. Non temiamo che quella sintesi sarà ancora convenzione. L’indagine su chi siamo è diventata il disvelamento della pressione sociale: smascherata quella, crediamo di saperci individuare e poterci definire. Ci avviciniamo a ciò che ci circonda, lo osserviamo con sospetto e, appena intuiamo la possibilità che ci abbia condizionati, lo disconosciamo, neutralizzandolo. Il movimento di Marina Jarre è opposto. Lei si avvicina alle parole, alle relazioni, alla storia, e cerca la derivazione: quando la trova, misura la distanza che la separa da ciò in cui c’è l’origine. Il suo obiettivo è la domanda. Marta Barone lo scrive nella prefazione: “I padri lontani è soprattutto un’interrogazione identitaria”. L’esperienza cui quell’interrogazione conduce non è il rigetto: è l’estraneità.
Jarre è morta nel 2016, questo libro è del 1987 e porta alla mente tutti quelli di Dolores Prato, Agota Kristóf, Magda Szabó: ricerche di sé inconcluse, erranti, prive di giudizio – “Non piango e non mi stupisco, io racconto”. Jarre ha scritto I padri lontani a più di sessant’anni per ricostruire chi era stata. Tutto inizia a Torino, prosegue in Lettonia, vede lo sterminio nazista, la guerra, i tedeschi, la salvezza, la sopravvivenza, l’origine doppia, il peso di Dio, la fuga, la maternità. Una vita che comincia così: “La mia coscienza di me è legata alle paure che avevo; la mia consapevolezza degli altri al comparire di mia sorella nella mia vita”. E finisce così: “Potrei continuare a scrivere per sempre, senza mai finire”. Jarre non era certa che questo libro sarebbe stato pubblicato. Le servì a mettere ordine, confrontarsi con la sua storia attraverso il travestimento che la letteratura le consentiva: fingersi bambina e poi adulta. Da madre, dice: “Mi piace camminare dietro mia figlia da anonima, nascondermi dietro la sua bellezza”. Riusciremmo ora a scrivere una frase d’amore così, senza vederci un riflesso, un cedimento? Da figlia, dice di aver capito cosa sia la “pietà adulta” quando ha scoperto che suo padre è stato ucciso nello sterminio degli ebrei di Riga insieme a una bambina che aveva avuto da un’infermiera. In quella pietà, riconosce le sue uniche radici. E’ un libro meraviglioso. Fa venire voglia di avere molti fratelli, di vederli negli altri.
Marina Jarre
I padri lontani
Bompiani, 192 pp., 12 euro
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