Una vita a scrivere
La recensione del libro di Annie Dillard, Bompiani, 160 pp., 14 euro
"Grandi vie di silenzio conducevano / a sobborghi di pausa”. Le poche meritevoli guide alla scrittura sono quelle che fanno piazza pulita al tempo stesso di scaltrezze strutturali e mitologie pseudoromantiche o che raccolgono aneddoti e problemi concreti degli scrittori su questioni specifiche, i resoconti di Mann o Roth, e consentono così di respirare induttivamente la vita di un’opera. C’è poi una terza categoria, che guarda alle Lettere a un giovane poeta di Rilke e cerca di annotare alcune esperienze emotive e spirituali di chi scrive, i viali dei versi di Emily Dickinson ricordati sopra.
È quanto tentato con saggezza e ironia dalla poetessa e saggista Annie Dillard in queste meditazioni: “Scrivi come se stessi morendo. Allo stesso tempo, immagina di scrivere per un pubblico fatto solo di malati terminali. Perché alla fine è così. Cosa ti metteresti a scrivere se sapessi che stai per morire? Cosa diresti a una persona in fin di vita che non la mandi in bestia per la sua banalità?”. Per raccontare qualcosa del processo misterioso che costa dolore e al tempo stesso sostiene e alimenta chi cerca di dargli spazio e tempo – “un’immagine bizzarra si annida nel muscolo come una larva incistata, uno strato di sentimento, una canzone dimenticata, una scena in una camera da letto buia” – Dillard ricorre ai detti chassidici sul terrore della presenza di Dio, ma anche alle esperienze di piloti d’aereo e boscaioli, ai tronchi lavorati dal mare o ai bruchi che “consumano i giorni in un panico costante”. Questo perché semplicemente restare seduti alla scrivania richiede “uno stato interiore particolare che la vita di tutti i giorni non induce. Ma come fai, se non sei un guerriero zulu o una fanciulla azteca, a prepararti, da solo, a entrare in uno stato straordinario in una mattina ordinaria?”.
Esaltazioni e sconfitte non contano – “questo scrivere che fai, che ti eccita tanto, che ti esalta e ti scuote come se stessi ballando vicino all’orchestra, è appena percettibile per chiunque altro” – ciò che importa davvero è il fiume carsico di attenzione che ognuno può scandire come vuole, con tazze di caffè, sigarette, passeggiate fino a sfinirsi, mentre “risolvi il problema irrisolvibile”. È il contrasto frustrante e caro tra il bambino purissimo sognato nella visione e il figlio sgorbio che le fate depongono nella culla, riempire lo spazio bianco dell’eterno coi segni minuti del tempo, “la pagina della tua morte”.
Annie Dillard
Bompiani, 160 pp., 14 euro
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