L'Ombra di Dio
La recensione del libro di Alan Mikhail, Einaudi, 488 pp., 35 euro
Plutost Turcs que Papaux. Era questa la scritta con tanto di mezzaluna sulle bandiere protestanti. Basterebbe forse a illustrare quanto la fondazione ed espansione dell’Impero Ottomano abbia contribuito, varcata quella che consideriamo la soglia della Modernità, a definire in modo autentico lo sfaccettato prisma dell’identità europea e poi occidentale su scala globale. Il timore alternato a un’ambivalente ammirazione per “il turco che deve passare” – come si chiacchierava nelle osterie frequentate da Machiavelli – ha contribuito in maniera decisiva alle imprese di Colombo, allo sfruttamento delle Americhe e alla libellistica incendiaria della riforma luterana. La commistione di centralismo assoluto e mobilità sociale che ruotava intorno al Sultano in un complesso arazzo multiculturale suscitava irrigidimenti sprezzanti e tentativi di emulazione. Tra i nomi più celebri dell’Impero è facile ricordare Maometto II e Solimano il Magnifico, ma questa biografia dello storico Mikhail – ricca e suggestiva sebbene indulga in alcuni giudizi tranchant un po’ facili per riequilibrare precedenti impostazioni eurocentriche – è dedicata invece al nipote del primo e padre del secondo, il conquistatore dai sette nei profetizzato nei mercati, le cui reliquie sono ancora oggetto di contesa e legittimazione nella Turchia nazionalista di Erdogan: “La sua condizione lo destinava a una vita di agi e benessere principesco ma verosimilmente breve. Implacabile e freddo, imperturbabile e visionario, Selim aveva altri piani”. Piani che comprendevano il Cairo, magari il titolo sacro di califfo e la prosecuzione di quell’Impero Romano che restava “l’entità politica paradigmatica del Vecchio Mondo”. Il suo è un mondo raffinato e crudele dove si ribatte in poesia agli avversarsi e si prendono a calci le teste decapitate per inviare un messaggio ai vivi e ai morti. La sua gestione delle imposte e dei popoli assoggettati, l’accoglienza degli ebrei e la regolamentazione della schiavitù susciteranno nei paesi cristiani una coscienza identitaria perlopiù in contrapposizione a quella ottomana, benché non siano sporadici i casi in cui siano visibili reciproche influenze, con entrambi i blocchi (tutt’altro che monolitici) alla costante ricerca di conquiste storiche e narrative, si tratti di Gerusalemme o leggendari alleati cristiani nelle Indie. Una tensione dialettica che getta un’ombra così lunga che Cortez nelle sue missive avrebbe definito Montezuma “il sultano” degli Aztechi e ancora oggi negli Stati Uniti si possono trovare cittadine chiamate Matamoros.
L’Ombra di Dio
Alan Mikhail
Einaudi, 488 pp., 35 euro
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