La Storia non è finita
La recensione del libro di Giorgio Arfaras, Guerini & Associati, 155 pp., 18,50 euro
Corre “Dalle origini del capitalismo alle varianti occidentale e orientale”, il nuovo brillante pamphlet di Giorgio Arfaras, un rapido e piacevole excursus di storia economica, dall’alba dei tempi alla più stretta attualità mondiale e italiana. Le analisi macroeconomiche dell’autore sono spesso accompagnate da considerazioni mai banali di ordine filosofico, sociologico, politico, a volte anche morale.
Esistono dal XX secolo cinque tipi di capitalismo, sostiene Arfaras. Il primo, “interventista”, va dalla grande crisi degli anni Trenta al secondo Dopoguerra, fino agli anni Settanta; il secondo, “neo liberale”, dagli anni Ottanta alla crisi del 2008; il terzo, “ibrido”, nato proprio da quella crisi, si è definito più compiutamente con l’arrivo del Covid-19; poi esiste il capitalismo “politico” cinese (cioè sviluppo economico occidentale e dittatura imperiale del Partito); e infine quello dei paesi in via di sviluppo, chiamato “dei compari”, che presenta alcuni tratti – quelli legati alla rendita – comuni ai paesi occidentali avanzati.
Le diseguaglianze si possono ridurre, ma è sbagliato pensare di poterle eliminare completamente. La maggioranza degli osservatori imputa la crisi al “liberismo selvaggio” e alla globalizzazione, una minoranza pensa invece che questi due fattori abbiano portato al centro della società le persone ad alto livello di istruzione. Questi fautori della “teoria della conoscenza”, possono convenire con gli altri sulla utilità di ridurre le diseguaglianze, non per ragioni di equità, ma di opportunità. “Il perno è la mobilità sociale – spiega Arfaras – L’idea è che la mobilità sociale, stabilizzando la classe media moderna, che sta crescendo nell’economia della conoscenza, trascini un maggior egualitarismo”.
Nel libro non mancano le battute sferzanti. Perché piacciono i complotti? Perché non siamo capaci di accettare i movimenti casuali: “Nella mente del complottista, l’ordinamento ‘spontaneo’ non ha udienza”. Quanto all’Italia, è “ovvio” rimanere nell’euro, incentivare la concorrenza e investire nelle infrastrutture; “non è così ovvio” che il mercato debba essere ancora più flessibile e che servano molti emigranti da integrare.
Dopo la pandemia, un campanello d’allarme: “Si hanno due importanti nodi. I problemi sociali, legati alle diseguaglianze di opportunità che si potrebbero manifestare. E il maggior ruolo dello stato che potrebbe aversi anche qualora la crisi finisse. Nella storia, a un grande intervento dello stato non è mai seguito un suo subitaneo ritiro”.
Giorgio Arfaras
Guerini & Associati, 155 pp., 18,50 euro
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