Una Fogliata di libri
L'americana
La recensione del libro di Heddi Goodrich. Giunti, 348 pp., 18 euro
Le lingue sono la nostra sciagura e la nostra fortuna. Sciagura perché non parlando la stessa è più difficile capirsi, e nemmeno usarne una comune come valvola può garantire che non finirà male. Fortuna perché ci consentono di essere noi, con le nostre sfumature piene e con il bagaglio che ci portiamo dentro. Per questo è interessante scoprirne una nuova, impararla davvero: è come se spuntasse una versione di noi più semplice, con meno strumenti, sì, ma meno costrizioni. Come infilarsi una vena in più nel corpo e aprire un varco a una vita ulteriore.
C’è anche un’altra questione, naturalmente, ovvero il fatto che l’idioma originario lo chiamiamo “lingua madre”: quanti sono i modi in cui una lingua ci fa da madre? Infiniti. E se poi capita che di madri, vere e di carne, ne abbiamo due? In L’americana, romanzo di Heddi Goodrich appena uscito per Giunti, si indaga proprio questo sentiero. Frida arriva in Campania dall’Ohio per uno scambio culturale senza sapere che chi la ospiterà (una donna libera e speciale di nome Anita) diventerà la sua seconda mamma. Qui proverà anche il primo amore, con un ragazzo dei quartieri malfamati, forse mezzo camorrista. Sarà uno sconvolgimento, un’iniziazione. Ma oltre a essere un libro bello, questo è un esercizio prezioso, uno di quei voli pazzi in cui possono lanciarsi solo i coraggiosi, nel senso che è scritto in un’altra lingua. Goodrich è di Washington e vive in Nuova Zelanda; ha però studiato a Napoli (fece uno scambio come Frida, poi si fermò per l’università), e da allora scrive in italiano. Questo è il suo secondo romanzo dopo Perduti nei quartieri spagnoli.
Il paragone naturale è quello con l’avventura di Jhumpa Lahiri, che da autrice premio Pulitzer, di madrelingua inglese, ha deciso di proseguire in italiano. Qui tuttavia pulsa un’intera tradizione che va al di là dei generi, un canone segreto che comprende tra gli altri Aleksandar Hemon, Joseph Conrad, ed è formato dagli scrittori in grado di creare in una lingua che non è la loro. Conrad imparò l’inglese a vent’anni. Hemon ne aveva ventisette quando, da rifugiato negli Stati Uniti, capì di non voler più scrivere in bosniaco. Per fare narrativa ripartendo da zero con delle vene nuove ci vogliono genio e incoscienza, è un lavoro immane, quasi contro natura, che però se di mezzo c’è una bella mente dà risultati magici. Per un lettore italiano leggere Goodrich potrà essere un’esperienza ricca e sorprendente, un vedere la propria lingua brillare di esplosioni nuove.
Heddi Goodrich
L'americana
Giunti, 348 pp., 18 euro
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