una fogliata di libri
L'incendio delle acque
La recensione del libro di James Still. Mattioli 1885, 288 pp., 18 euro
Terra e acqua. Attraverso queste due direttrici si muovono i racconti di James Still. La terra ruvida, dura, inospitale del sud degli Stati Uniti, sui monti Appalachi, in un Kentucky orientale di inizio Novecento fatto di campi minerari e di miseria. L’acqua è quella dei torrenti che l’attraversano, rigagnoli sorgivi che portano la vita ma solo per pochi. E solo per poco tempo. In questi luoghi dominati da un’essenzialità totale si muovono nuclei famigliari più o meno grandi che, come rabdomanti, sono alla ricerca di una vita migliore. Le loro esistenze sono spesso nomadi, fatte di continui spostamenti per trovare la sopravvivenza. Per questo non bisogna attaccarsi agli oggetti, alle persone, ai paesaggi.
Bisogna solo avere la concretezza di resistere, di rimanere attaccati alla terra. Di sopportarne le aridità e attenderne le ricompense. Sono famiglie che si fanno comunità, nuclei spesso con parecchi figli che fanno festa per l’uccisione di un maiale (cibo sicuro per settimane) oppure per aver trovato vicini di casa affidabili sui quali poter contare. Perché le leggi della natura sono sempre inaspettate e crudeli. E molto spesso è necessario difendersi dalla furia di quella natura e per questo si ha bisogno di alleati a cui ricorrere. Oppure sono personaggi alla deriva che stentano a resistere sotto la pressione di una vita colma di miserie, di sofferenza e fame. “Le donne vogliono sempre fare a modo loro. In un modo o nell’altro, devono spuntarla loro. Arriverebbero a incendiare le acque del torrente, se è quello che gli serve. Metterebbero sotto-sopra il creato”.
Un uomo ha costretto la moglie e i figli a traslocare per accettare un nuovo lavoro come custode di un tratto di bosco da taglio ma non riesce a creare le condizioni per la sopravvivenza dei suoi cari. Si nutrono di scoiattoli e i bambini giocano con delle radici fingendo che siano bambole. Sua moglie gli getta in faccia tutta la propria frustrazione, l’impotenza di sentirsi soli in un luogo che non ha nulla da offrire. Peggio, in un luogo che non li accoglie, che non contiene una speranza di vita. Sorprendentemente però a volte fa capolino un momento di ironia, uno squarcio che magari solo per qualche attimo fa sollevare lo sguardo a questa gente di montagna che chiama la miseria per nome. La scrittura di Still accompagna con essenzialità le vite dei suoi personaggi, senza spettacolarizzazioni, tratteggiandone con realismo compassionevole i contorni. Lo stesso realismo con cui restituisce i paesaggi che sono stati anche i suoi. Luoghi dove i fiumi s’incendiano e le colline ricordano.
James Still
L’incendio delle acque
Mattioli 1885, 288 pp., 18 euro
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