una fogliata di libri
Le notti segrete di Paul Valéry tra quaderni e infinito pensare
Si svegliava verso le quattro, si chiudeva in una stanza e vi restava fino alle sette a scrivere, a fabbricare un edificio di carta. Sono i “Quaderni” (editi in Italia da Adelphi). Il 30 ottobre scorso ricorrevano 150 anni dalla nascita dello scrittore
Ogni mattina, un uomo si sveglia verso le quattro, si chiude in una stanza e vi resta fino alle sette. Ogni mattina: dal 1894 al 1945. Simile a uno scienziato alle prese con alambicchi, o a un frequentatore di palestra, mentre la luce elettrica lascia il posto a quella dell’alba, un uomo fa esercizi: scrive, fabbrica un edificio di carta. Ha depositato sulle pagine ipotesi da vagliare, riflessioni, frasi sibilline, a volte sconcertanti, enigmatiche. Con precisione quasi matematica la mano percorre il foglio, fissa un’idea improvvisa. Qualcosa come un pensiero affiora vagabondo – ed eccolo, prima di svanire, tradotto sul quaderno. Paul Valéry ne riempirà 261, destinati a restare inediti fino alla sua morte, avvenuta nel 1945. Il primo presenta una copertina di carta arancione. Vi appare un disegno a inchiostro: un insieme di linee che raffigurano i raggi del sole e le onde del mare. L’ultimo è un quaderno da scuola elementare con la copertina verde. Sul retro, una tavola pitagorica. Lungo quest’arco temporale la carta, la grammatura, delle pagine, la loro qualità, doveva certo essere cambiata, ma l’uomo che l’ha stilato pensava di essere ancora uno scolaro impegnato nei compiti a casa: perennemente alle prese con un progetto a venire, sempre in fieri.
Aristocratico, serissimo membro dell’Académie, presidente del Pen Club, redattore presso il ministero della Guerra (dal 1897 al 1900; alcuni quaderni contengono carta ufficiale), Paul Valéry è stato senza dubbio il poeta più celebre del suo tempo. L’anno che è appena terminato coincideva con i 150 anni dalla sua nascita. In pochi, a dire il vero, se ne sono accorti. Almeno qui in Italia. Ma forse lo stesso scrittore avrebbe preferito così. Già da vivente mal sopportava la sua immagine “ufficiale”. Forse proprio per questo la notte, di nascosto, dedicava il suo tempo alla costruzione di quell’edificio inaudito che sono i “Quaderni” (editi in Italia da Adelphi). L’audacia di questo lavoro, il cui soggetto è in fondo il pensiero, il suo meccanismo, il tentativo cartesiano di coglierlo incessantemente, in ogni sua crisi, risiede nell’essere stato concepito come un esercizio di contrappunto rispetto a quello del famoso scrittore accademico. Chi l’ha scritto doveva per forza esserne la controfigura. Un’energia percorre le pagine, come se l’entità che le ha elaborate disponesse di un tempo limitato per restituirne l’estrema felicità di ragionamento, la perpetua diffrazione degli stati di un’idea. Giusto due o tre ore a notte. Una controfigura? Una chimera, un mostro psicologico: magari il Signor Teste. Così, ogni giorno, per alcune ore, come un vampiro destinato a sparire all’alba, l’ombra di uno scrittore si emancipa dal corpo e questo prodigio dall’esistenza breve prende il sopravvento. Teste scrive. Si fa spazio (uno dei primi scritti che compongono Monsieur Teste, editato in forma definitiva nel 1946, è pressoché coevo ai primi quaderni: “La serata col Signor Teste” data 1895). I “Quaderni” gliene hanno offerto tanto.
Personaggio per difetto, fuoriuscito dal cestino della carta dello scrittore ufficiale, Teste non è forse l’emblema di quella dimensione anonima, vissuta nel segreto di una stanza? Libero da qualsiasi sistematicità, Valéry non aveva mai pensato di pubblicare i quaderni. Quelle pagine mostrano il tracciato di un uomo che per cinquant’anni si è rifiutato di rendere pubblici i suoi pensieri. La storia di uomo accusato di essere “cerebrale”, quando pensare era per lui l’unico piacere immaginabile.