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Com'è complicata la notte tenebricosa di Manganelli
Il libro postumo di Giorgio Manganelli è in libreria per Graphe.it. Un divertissement ricco di ipotesi ove, assorbendo i toni del trattato filosofico, ci viene servito un universo mitico, teologico e a tratti psicanalitico proprio attorno al concetto di notte
Sono arrivata all’ultima pagina della “Notte tenebricosa” di Giorgio Manganelli (Graphe.it Edizioni) e mi sono detta: che diavolo è successo? Turbata, sorridente ma soprattutto affamata, ho capito che anche quel che mi tornava difficile, in realtà l’avevo assimilato, non foss’altro che per cieco convincimento.
Corre quest’anno il centenario della nascita del Manga, e un altro piccolo tassello della sua sconfinata arte ci arriva grazie a Lietta, la figlia – che peraltro si racconta, e ci racconta Manganelli (scrittore, artista, padre a suo modo) in una strabiliante e lunga intervista all’interno del volume, a cura di Emiliano Tognetti.
Unico lavoro del Manga dedicato alla notte, la “Tenebricosa” giunge al lettore come un divertissement ricco di ipotesi – sulla notte e non solo – ove, assorbendo i toni del trattato filosofico (e arricchendolo con qualche neologismo che tenderemmo a definire “emotivo”, se non conoscessimo per sommi capi il nostro), ci viene servito un universo mitico, teologico e a tratti psicanalitico proprio attorno al concetto di notte. A tal proposito, non possono sfuggire i due elementi estatici dello scritto, di fronte ai quali è lecito rimanere stupefatti: la creazione, praticamente dal nulla, di un mondo a sé; e poi, il sollevamento continuo di supposizioni attorno alle quali – col piglio guerresco che viene conferito a ognuna – se ne sviluppano altrettante, più o meno contraddittorie rispetto alle prime.
Il mito incontra l’uomo, il divino si macchia della realtà terrena, e tutto avviene nella testa del Manga che – forse non è totalmente sbagliato supporlo (ma di fronte a un testo di sole ipotesi non ci vien difficile farlo) – potrebbe aver redatto un manoscritto che parte dal sogno puro per sconfinare in brandelli di dissimulata autobiografia. Perché azzardare una simil congettura?
Se uniamo l’idea di “notte manganelliana”, la sua struttura – dalla superficie al cuore – e l’organizzazione interna, con l’idea di sua madre (“Mia madre mi ha avuto tra le mani quando ero fragile e indifeso, mi ha camminato sopra storpiandomi per sempre”, ed è facile intuire che tutti i problemi del Manga partissero da qui, da una madre a dir poco anaffettiva), allora possiamo metterci in gioco, ipotizzando che forse la notte e la madre son la stessa persona.
Benché sia “liberazione”, la notte resta comunque “fredda, priva di centro. Informe, tenebrosa e ostile alla vita”: Manganelli l’immagina come una pentola, un contenitore che si lascia influenzare dal suo contenuto, ovvero gli esseri umani che, è detto chiaro, non son altro che “i suoi sogni sinistri, i suoi incubi, le sue oniriche premonizioni”. Una notte nevrotica, contraddittoria nel suo essere potenzialmente “lei medesima malata mentale (…) o che (la sua malattia, ndr) nasca dalla malattia mentale degli abitanti suoi (cioè gli uomini, ndr)”, proprio come lo era la madre, l’unica donna che forse abbia odiato di un odio vero, razionale, tangibile.
In ogni caso, è nella notte, nel suo universo onirico, essenziale e buio, in cui s’incontrano e si scontrano slealtà e malizia, fiducia e passione, piagnistei e giubilo, freddezza e riso sguaiato, è lì che il Manga vive, ed è qui, nella “Notte tenebricosa”, in questo manoscritto spuntato fra camicie e canottiere, che ritroviamo ancora una volta lo spirito di un uomo che fu genio, condannato dalla sua medesima, eccentrica, satanica genialità.
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