una fogliata di libri
Per Rosario Romeo la storia è sempre contemporanea
Il risorgimentista italiano con la sua scrittua mira all’essenziale, e ha su chi lo legge un effetto quasi fisicamente tonico, purificatore
Certi autori c’infondono una voglia improvvisa di essere migliori. Sentiamo che il loro rigore stilistico dipende dal carattere, dalla chiarezza con cui si pongono davanti alla vita. Questi autori ci fanno vergognare dei nostri vezzi espressivi, del nostro modo ambiguo di girare intorno alle questioni per paura di sembrare troppo semplici o per la smania di mostrarci troppo brillanti. Capita così, ad esempio, davanti alla prosa severa e spoglia di Nicola Chiaromonte.
E’ difficile immaginare un Chiaromonte crociano, appassionato più alla storia che alla filosofia, devoto all’idea di nazione e coinvolto nella cronaca politica del Dopoguerra. Ma se ci fosse, non sarebbe molto diverso da Rosario Romeo. Anche Romeo mira all’essenziale, e ha su chi lo legge un effetto quasi fisicamente tonico, purificatore. In questi due liberali di sinistra riecheggia lo stile di Salvemini; e stando al ricordo di un amico, da ragazzo lo storico siciliano recitava a memoria il “Cocò all’università di Napoli”, vivida requisitoria salveminiana contro i ceti parassitari del sud. Trovo questa notizia nella bella biografia di Guido Pescosolido, Rosario Romeo. Uno storico liberaldemocratico nell’Italia repubblicana (Laterza). Il “maggior risorgimentista di sempre”, spiega Pescosolido, ebbe su tutti due maestri: Benedetto Croce e Gioacchino Volpe. Se il primo offrì a Romeo una visione del mondo, ossia l’idea che la storia dell’uomo è un continuo processo creativo, il secondo gli fornì un modello di rappresentazione concreta della società – modello che il giovane studioso integrò presto con Marx e con le più varie scienze sociali, facendo storcere il naso ai custodi dell’ortodossia idealista.
In realtà per Romeo il cuore del discorso storico riguarda le istituzioni politiche, all’analisi delle quali subordina tutti gli altri livelli d’indagine. E la sua grande dote è appunto quella di saper fondere i contributi particolari in sintesi narrative coerenti e originalissime. Queste sintesi presuppongono la fiducia che l’agire umano abbia un senso, e un legame fortissimo con l’attualità. Davvero per Romeo, che fu anche ottimo polemista ed europarlamentare, la storia è sempre storia contemporanea. Il suo Risorgimento in Sicilia (1950) nacque anche per rispondere al separatismo. Risorgimento e capitalismo (1959), dove confuta le tesi di Gramsci e Sereni sulla mancata rivoluzione agraria dell’Ottocento, punta anche a sfatare il mito che identificava nel processo di unificazione un’occasione persa, e che veniva usato strumentalmente dai comunisti.
Quanto alla monumentale biografia di Cavour, permise a Romeo di riflettere sul legame a lui caro tra liberalismo e nazione, e di contrastare l’opinione, diffusa nel Dopoguerra, che riduceva la storia dell’Italia unita a una premessa della dittatura. Romeo si trovò a difendere le sue idee in un ambiente spesso ostile: quello in cui trionfavano gli studi delle Annales, che cancellavano la storiografia a misura d’uomo, e i giudizi negativi sul Risorgimento di Mack Smith; quello in cui l’ambiguità del Pci e l’inerzia giolittiana della Dc logoravano lo stato, per lui solo motore possibile dello sviluppo del sud; quello, infine, di un’università che dagli anni 70 somigliava ai paesi dominati dalla mafia. Nel resistere a un’epoca così poco “risorgimentale”, il risorgimentista rivelò un coraggio straordinario. Si può essere vocati alla storia come lo si è alla musica o alla matematica? Romeo fa pensare di sì; e lo conferma anche la sua sordità a tutto ciò che non potesse diventare alimento storico. Un giorno Gennaro Sasso, che conosceva la sua avversione per la letteratura, si sorprese sentendolo parlare di “Tom Jones”. Poi capì: Romeo aveva letto Fielding per conoscere quell’avventurosa società inglese in cui un secolo più tardi si sarebbe mosso il suo Cavour.
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