una fogliata di libri
Jacu
La recensione del libro di Paolo Pintacuda, Fazi, 150 pp., 16 euro
Nella provincia arcaica della Sicilia di fine Ottocento, la nascita di un settimino arriva a sconvolgere gli equilibri della piccola comunità di Scurovalle. Come tutte le cose fuori dall’ordinario, Jacu il settimino fa paura, ha la colpa di essere nato troppo presto e merita come condanna, il rifiuto dell’intera collettività, parroco compreso. Ben presto, tuttavia, Jacu dimostra poteri taumaturgici e la storia prende i contorni di una parabola. “La verità è che attorno alle vicende di Jacu si consolidò l’abitudine ad alterare la realtà. E insieme all’interesse morboso crebbero con la stessa rapidità storie improbabili persino per essere valutate come leggende”.
Da reietto emarginato, Jacu diviene simbolo di santità e la sua casa meta di pellegrinaggio. Niente tuttavia muta davvero nell’animo ottuso dei suoi amici e concittadini che dopo vicende dolorose e stranianti dovute anche allo scoppio della Grande guerra, delusi da ciò che non comprendono, lo consegneranno ancora una volta alla più totale solitudine.
Paolo Pintacuda, scrittore e sceneggiatore, figlio di Mimmo, noto fotografo al quale si è ispirato Giuseppe Tornatore per il personaggio di Alfredo in “Nuovo Cinema Paradiso”, è la voce narrante della vicenda. Con stile limpido non privo di virtuosismi, si confronta con tematiche forti, legate alla tradizione cristologica, ai concetti di perdono e di oblio inteso come estrema salvezza. Fa rivivere uomini di un’altra epoca, li fa muovere sul terreno paludoso del pregiudizio e della diffidenza in una terra spigolosa e arida.
Bello e intenso il personaggio di Vittoria, la madre di Jacu, gentile e dolente come una madonna, vittima anch’essa di una persecuzione silenziosa che solo nel suo epilogo riconoscerà l’agape, quel sentimento di amore immenso, disinteressato e puro al quale il piccolo profeta aveva ambito tutta la vita.
“Vittoria intese l’inquietudine del figlio giacché lo scrutava di sfuggita. Avrebbe voluto parlare, dire qualsiasi cosa lo preparasse, ma scelse di tacere e lasciare che fosse Jacu a scoprire da solo ciò per cui era nato”. E non si può che concludere con Enrichetta, il miracolo più eclatante di Jacu, il finale più sorprendente che si poteva immaginare, un colpo di scena sospeso tra finzione e verità, e nulla importa quanto la narrazione sia reale o immaginaria, quello che conta è che Jacu sopravvive alla sua storia e alle pagine, potenti e lievi, del romanzo.
Paolo Pintacuda,
Fazi, 150 pp., 16 euro