Una Fogliata di libri

La barbarie di Berlino

Matteo Matzuzzi

La recensione del libro di Gilbert Keith Chesterton (a cura di Martino Cervo). Rubbettino, 92 pp., 10 euro

"Il pericolo del prussiano – ci dice Gilbert Keith Chesterton – è che è pronto a combattere per vecchi errori come fossero nuove verità”. E questi vecchi errori altro non sono che la tentazione che da sempre ingolosisce l’uomo, e cioè il desiderio di divenire giudice di se stesso, un “soggetto totalmente autodeterminato come lo vuole la modernità”, scrive nella Nota di lettura il curatore Martino Cervo. La barbarie di Berlino, che Rubbettino ripropone al pubblico italiano insieme a Lettere a un vecchio garibaldino, è un testo propagandistico. Siamo nel 1914, la Belle Epoque è agli sgoccioli, la guerra che tutti avevano profetizzato inizia con una pistolettata a Sarajevo. Gli inglesi sanno bene che i più pericolosi sono i prussiani, che da decenni stavano guidando la corsa agli armamenti.

 

Charles Masterman, letterato e politico liberale, è tra i più in vista del War Propaganda Bureau e subito chiama al lavoro l’amico Chesterton. Obiettivo, scrivere un pamphlet che denunciasse l’abominio dell’imperialismo tedesco. La contestualizzazione è d’obbligo per capire di cosa si parla, almeno su un piano meramente storico e fattuale: Chesterton è chiamato a picconare il mito prussiano e a compattare l’opinione pubblica inglese. Poi però, scendendo più in profondità, si comprende bene come i barbari in fin dei conti siamo tutti noi. Immersi in una cultura relativista che, connaturata al potere, finisce per piegare i princìpi per raggiungere i propri scopi.

 

Scrive infatti Chesterton che quando si riflette sulla barbarie tedesca non si fa altro che “rintracciare il male europeo moderno”. Combattere per vecchi errori presentandoli come novità: ecco il grande pericolo, così evidente pure nel nostro tempo: la vittoria di un pensiero che distrugge “alcune idee che il mondo – secondo loro – ha sorpassato, ma senza le quali il mondo perirà”. La rabbia dell’inglese è tutta per chi pretende di fondare una nuova moralità, slegata da tutto ciò che c’era prima, senza più scogli cui aggrapparsi e terra sicura su cui posare i piedi. La violenza del barbaro che si fa beffe della realtà, che la nega volendo solo costruirne una nuova secondo le sue regole e i suoi princìpi. Noi che cullati dalla pace occidentale e dal benessere che ogni nostro sfizio soddisfa riteniamo barbarico tutto ciò che c’era prima. Si potrebbe dire che è ignoranza, ma non è solo questo, sottolinea Chesterton, né è solo crudeltà: “Ha un senso più preciso, e si riferisce all’ostilità militante contro alcune idee necessarie all’umanità”. In fin dei conti, “il prussiano è un barbaro spirituale, perché non è vincolato dal suo passato, non più di quanto lo sia un uomo mentre sogna”


La barbarie di Berlino
Gilbert Keith Chesterton (a cura di Martino Cervo)
Rubbettino, 92 pp., 10 euro

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.