una fogliata di libri
Tutto quel che resta oggi degli immortali di Borges
Gli abitanti degl’Immortali sapevano che in un tempo infinito a ogni uomo accadono tutte le cose
"Accettiamo facilmente la realtà forse perché intuiamo che nulla è reale”, così dice l’Immortale di Jorge L. Borges dopo avere percorso il mondo, attraversato deserti, scalato montagne; dopo avere finalmente bevuto dal fiume della città degl’Immortali e avere risvegliato la coscienza di un Omero ridotto a troglodita dall’interminabile rincorrersi dei millenni: si accetta la realtà perché non è reale.
L’incredibile, negli ultimi anni, in un istante è divenuto realtà. La pandemia, il mondo che da un’ora all’altra chiude, e poi la guerra. In un istante, subito dopo che l’incredibile è accaduto è apparso normale. La facilità con cui abbiamo accettato non è stato agio ma percezione d’ineluttabilità. Ciò che è accaduto è ineluttabile perché accaduto. E’ impensabile anche solo scriverlo, ma se un giorno lontano lontano dovessimo vedere un fungo atomico su una delle nostre città, una volta successo, anche quello ci sarà facile da accettare. Gli abitanti della città degl’Immortali “sapevano che in un tempo infinito a ogni uomo accadono tutte le cose”. Si accetta qualcosa quando lo si è vissuto. L’evento che si vive avviene inaspettato ma nel momento in cui ce ne stupiamo già vi siamo dentro, non è più qualcosa di sorprendente, non è più da temere.
Lo scandirsi della vita che passa è scandirsi di eventi, e di eventi che diventano immagini che diventano la galleria caotica della nostra storia. Un accatastarsi disordinato e spesso estemporaneo di quadri e sensazioni che passano di continuo, e all’improvviso ritornano. E più si va avanti, più numerose e vaghe sono le immagini, più queste si accavallano e si confondono tra loro fino a non ricordare più il prima e il dopo.
Ma queste immagini che costituiscono la vita sono spesso immagini non “reali”, non affidabili per come le ricordiamo perché costantemente modificate e riadattate non solo dalla nostra memoria, creativa artefice della nostra storia, ma anche dalle immagini e dalle sensazioni che in ogni momento percepiamo. L’unica realtà che conosciamo è la riproduzione del reale. Quando vediamo qualcosa di sbalorditivo per rendercelo comprensibile diciamo che assomiglia a un film.
E’ forse per questo che tra tutte le arti il cinema, pur essendo la più recente, è quella che istintivamente avvertiamo come più naturale anche se è la più “finta” e la più immateriale; perché è la forma di realtà che permette di vivere infinite vite attraverso quelle immagini in movimento, e vivere infinite vite è quanto di più prossimo esista all’immortalità. “Un solo uomo immortale è tutti gli uomini. Come Cornelio Agrippa sono dio, sono eroe, sono filosofo, sono demonio e sono mondo, il che è un modo complicato di dire che non sono”. Il sogno di essere tutti è un sogno ingenuo, infantile, ogni giorno si può credere di essere qualcuno di diverso, pensando di potere vivere tutte le vite possibili. Se provassimo a farlo ci trasformeremmo in una pura identità infranta, in una coscienza chiusa in un limbo di scelte impossibili, ci trasformeremmo in un troglodita che non saprebbe più neppure parlare non sapendo più chi sia, o sapendo troppo. Attraverso immagini in movimento abbiamo percorso infinite storie e ci siamo abituati a molto di ciò che potrebbe accadere, e di ciò che è accaduto: abbiamo fatto esperienza di un briciolo di condanna e noia d’immortalità. Attraverso le immagini riprodotte abbiamo reso reali infinite vite e nella memoria di ciò che non sappiamo, o non ricordiamo, abbiamo colto tutto quello che può accadere, soprattutto quello che non sappiamo potrà accadere ma che siamo già pronti a chiamare reale. E abbiamo iniziato a farvi l’abitudine.
E’ forse questa la reale eco degli immortali di Borges per cui “ogni atto (e ogni pensiero) è l’eco d’altri che nel passato lo precedettero, senza principio visibile, o il fedele presagio di altri che nel futuro lo ripeteranno fino alla vertigine. Non c’è cosa che non sia come perduta tra infaticabili specchi”.