Una Fogliata di libri
C'è ancora spazio in letteratura per esordi davvero memorabili
“Cos’hai nel sangue” è il romanzo di esordio di Gaia Giovagnoli. Il dramma di Caterina passa per il tormento, l'affetto e l'amore dei figli per i genitori
Le case editrice hanno tante vite. E radici erratiche. Vivono di stagioni esaltanti e di altre dimenticabili, a fare la differenza è la scommessa più alta, ovviamente: l’autore e la sua scrittura. Ma questo da solo non basta. Solo uno straniero a questa realtà può credere il contrario. Accanto alla scelta editoriale vera e propria, difatti, convivono altre questioni, e professioni, che impattano enormemente sulla fortuna di un libro.
Al giorno d’oggi, un ufficio stampa, un social media manager, un art director, solo per citarne alcune, sono figure fondamentali per imporre in quel profluvio di offerte librarie un’opera e il suo autore. E che dire dei grafici e degli illustratori? Lavorare alla copertina di un libro è, forse, una delle sfide più difficili da vivere a livello creativo. Basta entrare in una libreria per rendersene conto. La fortuna delle case editrici, quindi, è fatta di tante tessere dove il destino della singola è il destino del quadro intero. Un ufficio stampa che ha perso di mordente, solo per fare un esempio, può cagionare un danno a tutto il processo cui l’autore ha dato vita.
Il bello è che allo stesso modo può accadere il contrario: l’introduzione nella propria squadra di un art director, altro esempio, motivato e creativamente vivo potrò dare quella scossa utile a far ripartire la macchina, a dare nuovo smalto. Di certo, però, l’art director per quanto virtuoso non riuscirà a rendere bello un libro brutto… In questa giostra di lavori e scritture, di morti e rinascite, salta all’occhio il lavoro che Nottetempo ha avviato sulla propria narrativa. A partire, lo si diceva, dalla scommessa più alta. La scelta dell’autore. Ed è qui che i tipi milanesi, dopo essere stati romani, hanno puntato e vinto.
L’esordio di Gaia Giovagnoli con “Cos’hai nel sangue” è davvero maiuscolo, memorabile. La Giovagnoli viene da quella magnifica palestra che è il verso, e lo si sente dalla melodia del suo dettato, dalla scelta di ogni singolo lessema. “Cos’hai nel sangue” è un romanzo che indaga l’amore per eccellenza, non l’erotico, ma quello che si consuma tra generanti e generati, quello verticale, che non scegliamo. Che spesso, involontariamente, ci maledice ancora prima di venire al mondo.
Caterina, ragazza schiacciata dal peso della vita, si trova nel suo paese, dopo essere scappata e tornata varie volte, per via della madre malata di nervi. Anche la ragazza vive il tema del tormento, in lei ha preso la forma del disturbo alimentare, della privazione come pratica autoinflitta. Un antropologo, il professor Spina, che arriva nel paese per un’intervista sarà suo malgrado la scintilla che permetterà alla protagonista di scandagliare l’animo di sua madre, fatto di strati e di memorie sovrapposte, ancora oggi impossibili da sostenere.
Tutto nel libro della Giovagnoli dice di fronte a uno specchio deformato che spezza le certezze del significato primo della realtà, delle cose e delle persone. Una ricerca di significato oltre il dolore del significante, con la speranza che possa esistere. In questa dimensione allegorica, tutto a partire dal nome del paese dove la vicenda si sviluppa assume una profondità da ricercare. Coragrotta. Cuore e grotta. Luogo e non luogo. Alla bravura dell’autrice e della sua opera, si spera risalti nella stagione dei premi entrante, Nottetempo ha aggiunto altro.
La veste grafica del libro, la magnifica illustrazione in copertina, non hanno nulla da invidiare ai grandi editori americani. Anzi, semmai il contrario.
Viva gli editori che possono rinascere. Beati loro.
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