Cose dell'altro mondo. Pirandello e Dante
La recensione del libro di Annamaria Andreoli, Salerno, 190 pp., 20 euro
"Diversi nodi avvincono Pirandello a Dante”, spiega Annamaria Andreoli, studiosa di letteratura italiana e presidente dell’Istituto di studi pirandelliani di Roma. Gli esempi si sprecano. Nel mezzo del cammino della sua vita, il trentatreenne Mattia Pascal sperimenta una sorta di passaggio fra la vita e la morte, sia pure intesa come “morte civile”; nel capitolo finale di Uno, nessuno e centomila, il protagonista Vitangelo Moscarda mormora sconfortato fra sé e sé: “Quest’albero, respiro tremulo di foglie nuove. Sono quest’albero”, emulo del suicida Pier Della Vigna, trasformato in pianta per la legge del contrappasso, nel celebre Canto XIII dell’Inferno. E così via.
In realtà, il giovane Pirandello ha respirato Dante in famiglia fin dalla più tenera età. Nel corso dell’800, il sommo poeta è il Padre della patria e simbolo del Risorgimento italiano; per il padre di Luigi, fervente patriota, battersi a fianco di Garibaldi e leggere Dante sono una cosa sola.
In seguito, l’opera di Pirandello resta legata a Dante in modo indissolubile. Il 1921, sesto centenario della morte di Dante, è l’anno del debutto di Sei personaggi in cerca d’autore, che procura a Pirandello il successo internazionale. Questa commedia, osserva Andreoli, “racchiude come in uno scrigno vari omaggi danteschi, che molto suggeriscono sui rapporti che lo scrittore da sempre intrattiene con la Divina Commedia”, in particolare per la “doppia esistenza” di alcuni personaggi che Dante incontra durante il suo viaggio nell’aldilà. Anche l’Enrico IV, pubblicato alla fine dello stesso anno, può e deve essere interpretato come un’opera ricca di influssi danteschi – l’unica che Pirandello abbia ambientato in pieno Medioevo.
In occasione delle celebrazioni di quell’anno, Pirandello pubblica sull’Idea nazionale un articolo, “La poesia di Dante”, nel quale egli lo interpreta come poeta della passione civile, della denuncia, dell’invettiva indignata. Caratteristiche, inutile dirlo, che egli rivendica come proprie, e che ben si attagliano al suo carattere scostante e sulfureo.
Del resto, nell’opera di Pirandello, le invettive politiche “dantesche” erano risuonate per tempo: “La mia patria se la mangiano i cani… Io odio l’Italia d’oggi, personificata nel suo Re galantuomo e imbecille, che siede su un trono merdoso…”. Nel Fu Mattia Pascal leggiamo una tirata in piena regola contro la democrazia: “Bel guadagno essere governati dalla maggioranza; quando i molti governano… si ha la tirannia più odiosa: la tirannia mascherata da libertà!”.
Cose dell’altro mondo. Pirandello e Dante
Annamaria Andreoli
Salerno, 190 pp., 20 euro
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