Il Cimitero di Venezia
La recensione del libro di Matteo Strukul, Newton Compton, 320 pp., 9,90 euro
L’immagine più fulgida di una realtà culturale si esprime spesso sul bordo del suo sbriciolarsi, estrema sintesi di una forza che sta già dissanguando e cristallizza forze che non agiscono più nella storia, e proprio per questo diventano un lievito dell’immaginario, uno spazio nel quale recarsi come in pellegrinaggio o persino visitare senza mai esserci effettivamente stati. Così è stato per la Venezia di quel Settecento che leghiamo sempre a Casanova e Goldoni, e il cui splendore di facciata è l’ultimo fiammeggiante tramonto di un processo di decadenza che si spiaggerà sul trattato di Campoformio che pugnalerà le speranze di Foscolo. Ed è significativamente in una laguna non illuminata dal sole – con i palazzi multicolori che si specchiano con sfumature dolci nell’acqua - ma raggelata nella morsa del ghiaccio – che prende le mosse il nuovo thriller storico di Matteo Strukul, al tempo stesso ennesimo tributo al suo amato Veneto, alla tradizione del feuilleton di Balzac, Sue, Hugo e alle biografie romanzate di Stone.
Protagonista è quel Canaletto che dell’immagine collettiva della Serenissima fu uno dei grandi forgiatori, e che per realizzare i suoi quadri traboccanti di particolari minuziosi impiegò tecniche innovatrici che preludevano alla fotografia. Ma tale ossessiva precisione e aderenza alla realtà può anche involontariamente cogliere dettagli controversi e, come in Blow-Up o La finestra sul cortile, l’artista che vorrebbe solo esprimere un momento della vita del mondo può trovarsi convocato dall’Inquisizione cittadina e dal Doge in persona, perché le calli da lui ritratte sono le stesse dove sono state ritrovate fanciulle orrendamente massacrate, o nelle quali si aggirano nobiluomini la cui reputazione compromessa potrebbe sferrare un colpo micidiale agli equilibri politici della città.
Si innesca così l’indagine di un detective improvvisato ma sempre più ossessivamente coinvolto nelle trame di un piccolo mondo in cui converge il mondo intero, tra spie straniere, marescialli, artiste del vetro in una Murano spettrale, riti della nascente massoneria e dei cabalisti, medici ebrei a malapena tollerati e che lottano faticosamente contro il dilagare del vaiolo cercando di introdurre le immunizzazioni, nella diffidenza e il diniego delle autorità, un’ottusità che non varia sotto il sole in qualunque era o latitudine: “Anche se tu pestassi lo stolto in un mortaio, in mezzo al grano con il pestello, la sua follia non lo lascerebbe”, recitano i Proverbi. Perché nel delitto come in politica la sfida si impernia sempre su cosa si accetta di vedere e quanto si vorrebbe che nessuno noti davvero.
Il Cimitero di Venezia
Matteo Strukul
Newton Compton, 320 pp., 9,90 euro
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