una fogliata di libri
Come guarire dalla misteriosa e sfuggente malinconia?
"Siamo tutti malinconici, a seconda delle diverse gradazioni che ci definiscono individualmente": ancora oggi la letteratura non smette di occuparsi dell'animo inquieto dell'uomo
Ancora oggi restano singolarmente attuali le famose pagine aristoteliche del Problema XXX, dedicato alla malinconia: “Perché gli uomini che si sono distinti nella filosofia, nella vita pubblica, nella poesia e nelle arti sono malinconici, e alcuni al punto da soffrire dei morbi che vengono dalla bile nera?”. Il genio si accompagna all’umore malinconico. Indole saturnina, follia nei Lumi, tedio leopardiano, ennui di Baudelaire, lutto e malinconia freudiana: il concetto ha viaggiato per i secoli passando al setaccio di eruditi, medici, filosofi, religiosi, scienziati. Ma come afferrare o guarire da questo stato d’animo sfuggente, analizzato, colto in tutti i suoi stati, in poche parole: interminabile? Quattro sono gli umori che agiscono nel corpo, connessi all’influsso astrologico (teoria medievale). Neppure il sapere enciclopedico di Robert Burton ha risolto la questione (che fare? lavorate, lavorate, oppure viaggiate). Questo “demone meridiano” si sposta, si maschera, si staglia in emblemi e figure che dovrebbero coglierne la dimensione enigmatica: un angelo alato e pensieroso, un cane, un putto, penna e compasso, delle figure geometriche (Dürer). Ancora oggi, la letteratura non smette di occuparsene.
A dar retta a Paracelso, tutto discenderebbe dalla creazione: “L’allegrezza e la tristezza sono del pari nate da Adamo ed Eva. L’allegrezza è depositata in Eva e la tristezza in Adamo. Un essere umano allegro quanto Eva non nascerà mai più: e similmente, quanto è stato triste Adamo, nessun uomo sarà mai più. Poiché le due materie di Adamo e di Eva si sono mescolate, così che la tristezza è stata temperata dall’allegrezza, e ugualmente l’allegrezza dalla tristezza”. Idea curiosa: siamo tutti malinconici, a seconda delle diverse gradazioni che ci definiscono individualmente. Quest’idea potrebbe averla avuta Jacov Reinhardt, il protagonista de “Il giardino di Reinhardt”, affascinante romanzo di Mark Haber interamente costruito sulla speculazione di questo “stato”, tanto che Jacov, volubile erudito, gli dedicherà l’intera esistenza. Muro tipografico, viaggio di tenebra nella giungla tropicale (ma poi in tremila altri luoghi), partiamo con lui alla ricerca del filosofo Emiliano Gomez Carrasquilla.
Per Jacov la malinconia resta uno “stato” positivo, non un’afflizione dell’anima. La giungla e la polvere fungono allora da emblemi della sua inafferrabilità e, insieme, della sua potenzialità costitutiva. “Andiamo a vedere la giungla, dove, io sospetto, la malinconia, come la vegetazione lussureggiante e incolta, ricopre tutto il paesaggio”, afferma Reinhardt. Così la polvere. I suoi strati. Materia di cui è impossibile disfarsi. La polvere ritorna, si deposita. Oppure danza. Come quel pulviscolo di cui parla anche Georgi Gospodinov nel suo “Fisica della malinconia”, altro libro immerso in questa condizione inafferrabile, prismatica. La malinconia è mutevolezza, un movimento browniano, un io instabile: dimensione psicosomatica resa in una scrittura che si altera e cambia registro di continuo. Sublime pagina di Gospodinov: “Il movimento di Brown del pulviscolo all’interno del raggio… La prima, quotidiana dimostrazione dell’atomismo e della fisica quantistica è che siamo composti di pulviscolo. E forse l’intera stanza, il pomeriggio e io stesso con la mia goffa tridimensionalità, siamo soltanto proiettati. Come il raggio del vecchio e ronzante proiettore nel cinema cittadino”. Intricata come la vegetazione tropicale. Infinita come il pulviscolo. Come venirne a capo?
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