Una fogliata di libri
La bellezza è fuori dal mondo, per questo non può salvarlo
L’esperienza estetica implica la sospensione del tempo, l’accesso a una dimensione che nulla ha a che fare con il mondo che si pretenderebbe di salvare. E questa dimensione non è divina ma propriamente umana
La ripetizione abusata dell’espressione “la bellezza salverà il mondo” è forse il punto più alto della violenza linguistica e filosofica che si possa infliggere a un ascoltatore attento (povero Dostoevskij e povero Myskin!). “La bellezza salverà il mondo” è, infatti, una proposizione concettualmente vuota. Sarà proprio per questo che piace tanto. La bellezza non salva niente di niente. Eventualmente, se ha un qualche significato al di là dell’oggetto o del fenomeno attraverso cui si manifesta, essa mette in crisi, ci getta nella perplessità più sconcertante, ci turba. Ci fa interrogare sui nostri limiti perché siamo stupiti di fronte a qualcosa, l’oggetto bello, che sembra esondare rispetto alle nostre capacità. La bellezza è esattamente come l’orrore più tetro, questo ci pone di fronte a un abisso invertito, di fronte a una montagna rovesciata di cui non si vede la fine, un tartaro inavvicinabile, quella di fronte a un Olimpo irraggiungibile.
La bellezza è rappresentazione di ciò che è del tutto inattuale, per questo affibbiarle la missione di salvare il mondo risulta così volgare. Ma è proprio l’inattualità della bellezza ciò che la rende sempre presente. Mi fa pensare a questo la nuova edizione della rivista FMR, che porta le iniziali del suo ideatore Franco Maria Ricci. Definire Ricci esteta è cosa dozzinale per il tempo attuale ma inevitabile pensando al termine nella sua interezza; l’esteta, infatti, è colui che riesce a cogliere in qualcosa il reale e l’ideale insieme, in unico sguardo. E si può dire questo di Ricci pensando non solo alla rivista, ovviamente, ma a tutta la sua attività editoriale e grafica o al labirinto di Fontanellato: il labirinto, tra l’altro, è immagine di ciò che è più umano, ossia della ricerca dell’uscita, della verità, come pure della possibilità di perdersi lungo questa strada.
Per quanto riguarda la rivista FMR (l’editoria è un mondo che è sempre, al tempo stesso, quanto di più scadente ed effimero e quanto di più solenne e potente, visto che contiene pensieri, parole, opere e omissioni dell’uomo), è difficile immaginare un testo più bello e più inutile, per questo del tutto inattuale ma sempre vivente, con i caratteri dell’imperituro e del necessario che sembrano propri della bellezza. La rivista è una collezione di testi che sono sempre fuori tempo perché non fanno altro che lasciare fluire pensieri di autori di fronte a immagini. E le immagini, a differenza degli uomini, hanno il carattere della permanenza perché colgono l’attimo. Nel primo numero della rivista, l’articolo centrale è affidato a Orhan Pamuk e al Museo dell’innocenza da lui realizzato in una casa di Istanbul che è la ricreazione museale del libro omonimo, sorta di altare espositivo delle “cose” che portano la memoria estetica sia della creazione artistica sia dei ricordi dello scrittore deformati dal suo stesso atto creativo. Il museo diviene così esposizione sia della memoria sia dell’atto creativo.
L’esperienza estetica implica la sospensione del tempo, l’accesso a una dimensione che nulla ha a che fare con il mondo che si pretenderebbe di salvare. E questa dimensione non è divina ma propriamente umana. E l’accesso a tale dimensione implica la sospensione del tempo che è tutt’uno con la sospensione dell’incredulità. La bellezza non salva il mondo perché la bellezza è fuori dal mondo, è solo nell’uomo infatti, ed è l’atto con cui l’uomo si sgancia dalla temporalità che è l’essenza del mondo, o almeno dell’esperienza del mondo che abbiamo noi come esseri umani che muoiono. Il momento estetico, quindi, non rivela per nulla il mondo, ma l’uomo nell’attimo ossia nell’unico momento in cui non è pura temporalità, in cui è sospeso dal tempo.
La bellezza ri-crea un mondo, che è il mondo più autentico dell’uomo. Nell’atto creativo della bellezza l’uomo si pone nell’attimo, conquista e domina il dominatore di tutta la nostra vita, ossia il tempo, e diviene propriamente se stesso.