una fogliata di libri
Buone ragioni per riscoprire l'illustre dimenticato Poictevin
Francis Poictevin, morto nel 1904, fu grande amico di Huysmans
Sono finito sul nome di Francis Poictevin per puro caso, mentre leggevo la biografia di un altro “invisibile”: Felix Fénéon. Anarchico, funzionario al ministero della Guerra, gallerista, letterato, critico d’arte, Fénéon era noto per la sua imperscrutabilità, per il laconismo proverbiale, riscontrabile anche nei gesti. Si è pensato che scrivesse poco. Questo perché spesso non firmava gli articoli, oppure si limitava alle iniziali, quando non si serviva di pseudonimi. Insomma, devo questo incontro inatteso alla magnifica biografia intitolata “Félix Fénéon. Aesthete and Anarchist in Fin-de-Siècle Paris” (Yale Press, 1988), scritta da una studiosa americana, Joan U. Halperin.
I contemporanei accusavano Fénéon di coltivare un gusto barbaro. Che cosa amava? Halperin ci dice: “La prosa di Poictevin, il verso libero, le “Illuminations” di Rimbaud, la pittura di Seurat”. Alla faccia del gusto barbaro! Su Rimbaud e Seurat il tempo gli ha dato ragione. Ma qualcuno si ricorda di Francis Poictevin? Nel 1921 viene già considerato oublié – dimenticato – scrive René Martineau sul Mercure de France. Eppure, stando a ciò che riporta ancora la studiosa, andrebbe riscoperto: “Ci si domanda oggi se Nathalie Sarraute, Michel Butor, Claude Simon e altri inventori del ‘nouveau roman’ conoscessero le opere di Poictevin”. Risulta familiare ai surrealisti. Prendete Aragon ad esempio. Tenta di scrivere una sorta di anti romanzo, di cui si disferà. Indica come fonte d’ispirazione l’autorità di un classico, o ciò che i surrealisti consideravano tale: proprio Poictevin. Fénéon ne loda la prosa coincisa. Si spinge fino a considerarla mallarmeana – per “l’audacia delle ellissi, l’assenza di congiunzioni e di pronomi relativi, l’ostinato ritorno ai significati etimologici, l’orrore per le forme discorsive”.
Dai suoi “poemi in prosa” spicca un andamento narrativo desertificato, parco di avvenimenti, concentrato a restituire, con stile perentorio, una sorta di mirabile nulla: giusto qualche evento fugace, figure descritte in maniera netta, altre invece pulviscolari, larvali. Grande attenzione per paesaggi. Precisione atmosferica. Non è forse un caso se alcuni amici siano giunti a ipotizzare un legame tra la rarefazione, la peculiarità di certi suoi personaggi, e l’inafferrabile Fénéon. E’ possibile che l’anarchico vi si sia rispecchiato? Il laconismo è già nei titoli: “Ludine” (1883), “Songes” (1884), “Seuls” (1886), “Paysages” (1888), “Double” (1888), “Ombres” (1894). Ricco, dandy eccentrico, Poictevin si considerava discepolo dei Goncourt. Strinse amicizia con Barbey D’Aurevilly e soprattutto con Huysmans, tanto che i due condivisero un viaggio a Tiffauges, sulle tracce di Gilles de Rais; tanto che c’è il concreto sospetto che Huysmans si sia ispirato proprio a lui per definire i tratti di “Des Esseintes”.
Ma proprio come Huysmans, anche Poictevin, nel corso degli anni, si allontanerà dalla mondanità per isolarsi in un regime di altissima povertà. Una fuga che sa di misticismo e follia. I suoi libri si apriranno sempre più al mistero della fede. Nei suoi scritti, chiese, cattedrali, cimiteri, figure mariane, si fanno sempre più presenti. Libri “fatti con nulla: con tutta la mia fede e la mia povera vita”, dichiarerà in un’intervista al Figaro, il 25 settembre 1893. La rilascia in occasione dell’uscita del suo “Tout bas”. Nello stesso articolo compare, interpolata, una lettera di Huysmans. Elogia il suo stile freddo, tremolante: “La mistica vi giova più della natura”, gli scrive. Qualche editore sarà disposto a riscoprirlo?