Il perfetto fascista
La recensione del libro di Victoria de Grazia, Einaudi, 523 pp., 36 euro
La storiografia sul fascismo, sui suoi diversi periodi e numerosi esponenti, continua ad arricchirsi di contributi che hanno anzitutto il merito di metterne in rilievo la complessità. Si tratta sovente di opere pregevoli, dalle quali il lettore riesce a trarre un notevole incremento delle proprie conoscenze sull’argomento e che uniscono al rigore dell’indagine la qualità della prosa. E’ il caso di questo saggio di Victoria de Grazia, già autrice di alcuni studi sul ventennio mussoliniano nonché curatrice, insieme a Sergio Luzzatto, dell’eccellente Dizionario del fascismo (2002): la biografia di un ufficiale, Attilio Teruzzi (1882-1950) che si fa storia sociale in quanto, approfondendone l’insieme dei rapporti politici e umani, appare volta a evidenziare come questi sia riuscito ad affermarsi utilizzando appunto tali relazioni.
Un caso esemplare, dunque, che la studiosa analizza delineandone gli sviluppi con meticolosità e acume: dal periodo precedente al 1920, quando egli militava nel regio esercito, agli anni successivi, che lo videro esponente di spicco del Pnf, poi deputato, quindi governatore in Cirenaica, capo della Milizia, sottosegretario alle Colonie fino all’adesione alla Repubblica sociale. In seguito, nel dicembre del 1944, sarebbe stato chiamato a rispondere del proprio operato e venne condannato a sei anni e tre mesi da un tribunale speciale.
Centrale, nell’ambito della sua esistenza, è stato il ruolo svolto dalla moglie, Lilliana Weinman, soprano statunitense di origine ebraica che – assai impegnata a favorirne l’ascesa – ne diventò ben presto l’ascoltatissima consigliera: successivamente però, sospettando il tradimento della donna, il gerarca decise di liberarsene ricorrendo alla Sacra Rota. Inizialmente in bilico tra il volere del duce e i propri sentimenti, Teruzzi appare sempre pronto ad allinearsi ai mutamenti imposti alla bussola della moralità fascista diventando poi l’archetipo del combattente virtuoso quando, negli anni Trenta, Mussolini volle consolidare il proprio apparato di potere consegnandolo interamente agli uomini: abbracciando cioè un ideale guerresco ispirato alla purezza razziale e alla virilità mascolina. In un regime concentrato sulla rappresentazione di sé e la propaganda, sul matrimonio e la procreazione, la granitica fedeltà nei confronti del duce avrebbe condotto il “perfetto fascista” ad assecondare i peggiori istinti del Capo.
Insomma, conclude la studiosa, “destino e carattere – in effetti, le forze della storia e la forza delle cose – l’avevano indirizzato nel campo di Mussolini, infliggendo incalcolabili danni alla sua nazione, alla sua famiglia e a sé stesso”.
Victoria de Grazia
Einaudi, 523 pp., 36 euro
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