Il richiamo del corno
La recensione del libro di Sarban, Adelphi, 191 pp., 12 euro
In tedesco c’è una parola curiosa: “vogelfrei”, che a prima vista uno tradurrebbe: libero come uccel di bosco, ma che invece marchia colui che è stato bandito e che, al pari di un animale selvatico, chiunque può cacciare e uccidere impunemente. Sulla contiguità tra statuto umano e statuto animale, sul passaggio dall’uno all’altro e sulla loro confusione è giocato molto dell’elemento perturbante della storia narrata da Sarban. Dietro questo pseudonimo si celava un diplomatico britannico, John William Wall (1910-1989), sulla cui figura di scrittore appartato e riluttante la nota in appendice di Matteo Codignola raccoglie e interpreta i non molti dati a disposizione, lasciandoci con la speranza che altro in futuro emerga dell’autore e della sua opera inedita.
Nel 1952 la scrittura è il modo in cui Wall distoglie lo sguardo dalle polverose città mediorientali in cui deve prestare servizio per portarsi altrove: nell’Ostraum, il grande spazio dell’Europa centro-orientale che, con le sue foreste ancestrali, i tedeschi della generazione precedente avrebbero voluto trasformare nel cuore del loro Reich millenario. Il protagonista, un ufficiale della marina britannica fatto prigioniero di guerra nel 1941, dopo un incidente inspiegabilmente si risveglia nel centoduesimo anno dell’èra iniziata quando i suoi nemici hanno vinto la “Guerra dei diritti germanici”, cioè la Seconda guerra mondiale nelle parole del dottore che lo ha rimesso in sesto, e che lo introduce nell’enorme riserva del Grande maestro delle foreste del Reich dove egli ora si trova.
Sulla trama non si deve dire una parola di più. Adelphi ha sottratto questo vero capolavoro al packaging editoriale (kitsch e fuorviante, da bancarella dell’usato: basta cercare su internet le varie edizioni, italiane e straniere, per farsene un’idea) in cui per decenni è stato relegato, incorniciando la nuova traduzione di Roberto Colajanni in una copertina che ne restituisce l’esatta statura: il quadro di un simbolista (di cui è riprodotto solo un particolare e che, sia detto a scanso di sovrapposizioni retrospettive, è del 1888) raffigurante die wilde Jagd, la caccia selvaggia del folklore germanico. Il punto è che questo racconto lungo, composto secondo alcuni motivi della distopia novecentesca e in una prosa nitida e moderna, è in realtà una splendida fiaba, dove, come nelle fiabe della tradizione, gli aspetti più truculenti e perversi stanno accanto a vette di una bellezza immacolata e commovente, attinta alle fonti più pure.
Il richiamo del corno
Sarban
Adelphi, 191 pp., 12 euro
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