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Tranquilli, la letteratura non sta andando da nessuna parte
Domandarsi dove stia andando la letteratura contemporanea è una domanda tanto frequente quanto oziosa. La semplice risposta dell’antologia “Contemporanea Occidentale” (Il Saggiatore)
Domandarsi dove stia andando la letteratura è una domanda tanto frequente quanto ultimamente oziosa, buona essenzialmente come cornice per panel e convegni. Ogni opera autentica, non importa quanto intrecciata a quante la precedono, torna ad attingere a quell’esperienza primaria che è l’alba oscura di tutte le possibilità, l’alfabeto scomposto della creazione, “le vestigia dell’informe, dell’innocenza della loro fonte e della materia grezza”, come scrisse George Steiner. Nel flusso travolgente di informazioni, dati e immagini del Ventunesimo secolo, laddove la comunicazione si è definitivamente realizzata come quarta dimensione effettiva della nostra vita quotidiana – non qualcosa che facciamo, ma in cui, paolinamente, viviamo ci muoviamo ed esistiamo – due diverse eppure spesso sovrapposte tendenze - da una parte la volontà programmatica di affidare all’arte le nostre migliori intenzioni, riducendola a un manuale di autocompiaciuta educazione civica, dall’altra la teorizzazione forzata dello sconfinamento dei generi e degli stili – sottraggono la letteratura al suo nucleo essenziale, quello di un accesso alla conoscenza delle cose senza scomporle, esponendoci ancora e ancora alla nuda esperienza di essere al mondo, qualunque cosa ciò voglia dire, all’aggressione costante e senza schemi o filtri delle nostre sensazioni e dei nostri pensieri. La sua ricchezza sta proprio nel non potersi prevedere, pure nel “tempo algoritmico, che coglie simbolicamente il segno nel neural network, algoritmico basato su un modello del cervello umano, è scandito dalle predizioni”.
Sono parole di Andrea Gentile, che introducono l’antologia “Contemporanea Occidentale” (Il Saggiatore) e che comprende autori come Thomas Ligotti, William Vollmann, Ali Smith. Anche e soprattutto in contrasto con tale valanga di modelli espressivi basati su ciò che già costituisce un nostro gusto, una nostra sottoscrizione ideologica, la letteratura ambisce a “stare dentro l’intervallo”, scrive sempre Gentile, in quello spazio quasi indefinibile, eppure così denso, che precede comprende e supera tutto ciò che sappiamo già dire, o che ci atteggiamo a dichiarare nelle nostre varie maschere pubbliche. Come l’immagine di Eliot della “pausa tra due onde del mare”, quell’attimo che scandisce ogni nostro attimo, tra inspirare ed espirare, accogliere e restituire.
In questo senso “Contempranea” si potrebbe semplicemente definire una bella antologia e basta, una vittoria non da poco in un mondo editoriale ossessionato da tesi e definizioni. Vi si passa dagli ammalati di Olga Tokarczuck che si ritrovano con un senso del gusto “stratificato… non esistono più le portate, ma soltanto libere confederazioni di ingredienti” alla protagonista di Ali Smith che ammette “mai avrei immaginato che potesse esserci qualcosa di male nell’osservare un albero per più di un dato lasso di tempo” e si ritrova a innamorarsi davvero, come per una persona, di quel “bianco che bramava le api”.
Uno dei contributi più belli è forse la riflessione metaletteraria di Knausgard sul potere emotivo esercitato dal nazismo, travasato sotto diverse spoglie nella retorica delle immagini della società secolare: “Dobbiamo avvertire la gioia, in modo che così compriamo. Dobbiamo avvertire la vergogna, in modo che così compriamo”. La letteratura se ne distacca non affidandosi a messaggi o intenti ma perché, in virtù d’una oscura telepatia, “soltanto essa è in grado di elevare il linguaggio interiore e di renderlo visibile”, palesandosi “incompiuta come la vita”.
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