una fogliata di libri

Terre di confine. La frontera. La nuova mestiza

Francesca Pellas

La recensione del libro di Gloria Anzaldúa, Black Coffee, 300 pp., 18 euro

Ogni confine, ogni frontiera, è una ferita aperta. Non esistono confini naturali che siano veramente tali, esistono solo bordi inventati, imposti alle cose dalla mente dell’uomo e dal suo desiderio di conquista. Questa pulsione ha generato spesso atrocità e disgrazie nella nostra storia sul pianeta Terra, e molti avvenimenti assurdi. Prendiamo gli Stati Uniti d’America, il massacro degli indigeni, le migrazioni soffocate di oggi da sud a nord, e l’identità cangiante, giustamente in rivolta, dei chicani. Che cosa vuol dire “chicano”? Prima di essere una parola, è un concetto importante, che per semplificare può essere incluso dentro il termine “latino” ma che al contempo lo espande, perché le possibili identità che svela sono complesse e multiformi. Dirsi chicano significa prendere una posizione a livello politico e culturale rispetto alla propria identità americana, messicana, indigena, di abitanti che esistevano da prima e che non hanno varcato nessun confine, ma hanno visto quel confine essere inventato e poi passare sul loro corpo.

 

“Gli Atzecas del norte costituiscono il gruppo etnico o la nazione più numerosa di Anishinaabeg (indios) che abiti oggi in territorio statunitense. Alcuni di loro si definiscono chicanos e ritengono che la loro vera patria sia Aztlán, il sudovest degli Stati Uniti”, spiega nel suo testo più celebre la studiosa texana, chicana, femminista e lesbica Gloria Anzaldúa, nata nella Rio Grande Valley (Texas) nel 1942 e morta nel 2004. Quel testo è Borderlands/La frontera, che Edizioni Black Coffee ha da poco portato in Italia nella traduzione di Paola Zaccaria (a sua volta studiosa di Anzaldúa da tutta la vita) con il titolo Terre di confine/La frontera. Un libro che è un piccolo miracolo, scritto in prosa, in poesia, in inglese (qui tradotto in italiano) e spagnolo (che invece viene lasciato com’è, per rendere l’esperienza del bilinguismo e del trovarsi a cavallo tra due culture). Crescere sul confine, essere il confine, significa vivere dentro un Io in lotta: la coscienza, alla confluenza di correnti diverse, si trasforma in qualcosa che tracima e fa sentire radicatissimi eppure senza radici, figli dell’eterno dubbio dato dal non saper trovare una risposta certa alla domanda: chi sono? La cultura chicana definisce questo sentirsi “in mezzo”, creature dello spazio liminale, con il termine “nepantla”. Per una donna, per di più omosessuale com’era Anzaldúa, il nepantla non finisce mai: ci si sente invisibili ma anche al centro di un viaggio senza fine dentro se stessi e di fronte agli altri; gli stessi “altri” per cui si è sempre una minoranza. Ma l’anima non cede, lei lotta. Perché, come diceva Gloria: “L’anima usa qualsiasi mezzo per promuovere il suo farsi”. 

   
Terre di confine. La frontera. La nuova mestiza
Gloria Anzaldúa
Black Coffee, 300 pp., 18 euro