Una fogliata di libri
Il figlio del figlio perduto
La recensione del libro di Soma Morgenstern, Marsilio, 313 pp., 18 euro
Prima parte di una trilogia che si auspica di poter leggere quanto prima anche in italiano, questo romanzo dell’ebreo-austriaco Soma (Schlomo) Morgenstern (1890-1976) – nato in Galizia, nell’odierna Polonia – racconta di un mondo scomparso: in particolare di quegli shetlach che sarebbero stati spazzati via dalla furia nazista e i cui abitanti avrebbero conosciuto la morte nelle camere a gas. Poiché di quel contesto è originario uno dei protagonisti della narrazione, il proprietario terriero Welwel Mohylewski, che si reca a Vienna per partecipare al congresso mondiale degli israeliti fedeli alla Legge. Lì conoscerà, in circostanze piuttosto singolari, sia il nipote Alfred che il tutore di quest’ultimo, il Dr Frankl.
Figlio di un ebreo convertito che si era lasciato alle spalle tanto la religione quanto la “tribù galiziana”, il giovane entrerà in contatto con quello zio che detesta la borghesia ebraica assimilata preferendole, al contrario, le comunità di villaggio e le sterminate campagne ucraine, dove le tradizioni continuano a essere osservate con profonda devozione, le feste comandate vengono rispettate e le pietanze cucinate secondo i precetti. Morgenstern descrive paesaggi rurali e ampi scorci viennesi (la Mariahilferstraße!) personaggi eruditi e ingenui, eleganti e miserabili, la varia umanità di un contesto sociale alla perenne ricerca di un’identità che sia chiara, come afferma perentoriamente di volere Alfred. L’opera racconta, inoltre, il progressivo avvicinamento tra zio e nipote: un processo attraverso il quale quest’ultimo arriva a conoscere le sue radici – in primo luogo alcuni aspetti della personalità paterna – e a farle proprie. Il figlio del figlio perduto assume, al riguardo, i tratti di un autentico Bildungsroman inserendosi, così, in un genere sovente coltivato dalla letteratura tedesca.
Grazie a dialoghi essenziali ed efficaci, allo spiccato plurilinguismo, al tono spesso leggero e ironico, il testo non fatica a imporsi all’attenzione del lettore potendo vantare, sovente, passi davvero pregevoli. L’attenta traduzione di Alessandra Luise e Sarina Reina, dal canto suo, ha il merito di restituirci le sfumature di un testo assai complesso che – osserva nella sua lucida nota conclusiva Goldkorn – costituisce un omaggio alla vita dei cosiddetti Ostjuden, gli ebrei dell’Europa orientale, spesso disprezzati dai correligionari tedeschi, e a una terra, la Galizia, che “aveva cambiato pelle e natura” nel sangue delle battaglie, nei pogrom e nelle angherie perpetrate dalle truppe delle nazioni già affette dal virus del nazionalismo.
Il figlio del figlio perduto
Soma Morgenstern
Marsilio, 313 pp., 18 euro