una fogliata di libri
Apprendistato alla salvezza
La recensione del libro di Pasquale Vitagliano, Interno Libri, 76 pp., 12 euro
Il verso poetico può tratteggiare un’immagine capace di vibrare universalmente negli spiriti di chi legge, può restituire una condizione storica dell’uomo o penetrare tutta intera la sua essenza errabonda con la sola interruzione del rigo che introduce l’enjambement. Quella di Pasquale Vitagliano è invece una parola che si riconosce in ritardo, che sa di sopraggiungere quando ormai tutto è stato detto e non rimane più nulla di edificante cui aderire, né madonne, né ninfe, né nature morte; una parola che, non potendo più nemmeno creare scandalo, può approssimarsi solo alla marginalità, ai rifiuti della storia, che al più possono essere differenziati secondo una tassonomia elementare. Una parola che sa di non illuminare più, sa di non poter più essere di conforto a chi necessiti cure: la poesia di Vitagliano sa di potere ormai solo collocarsi all’uscio, nella frontiera fra un buio rassicurante e una luce minacciosa perché, questa sì, capace di dischiudere la realtà in tutta la propria verità.
L’apprendistato alla salvezza a cui Vitagliano ci introduce è, invero, un apprendimento – lungo l’intera vita e mai davvero concluso – alla sorveglianza, all’esitazione, all’incertezza: coltivare il dubbio e la titubanza permette di sostare in prossimità dell’evento più spaventoso, del dolore più lacerante, senza liberarsene immediatamente, trattenendolo al nostro fianco e interrogandolo in tutta la sua complessità interna, senza lasciarsi paralizzare ma, anzi, raffreddandolo nel turbine delle domande. E in questo estenuante dialogo con ciò che c’è di imprevedibile nel nostro vivere, permettere alla luce che salva di manifestarsi.
E, in fin dei conti, da dove può giungere per l’uomo la salvezza se non nell’esitazione trattenuta indefinitamente nello spazio in cui ogni possibilità, temibile o sperabile, è ancora completamente aperta, perché non attuata? Se non da un gesto che si riconosce tale, cioè pura medialità senza scopo, mezzo senza fine se non quello di far segno al proprio puro esser così com’è? Da dove può venirci la salvezza, se non, infine, da una parola che, pur senza ridursi a flatus vocis inarticolato, ha dismesso il proprio compito di significare, di veicolare un messaggio da un mittente a un destinatario; da una parola che indica, nella propria materialità carica di potenza inespressa, il luogo comune a tutti noi, in cui non ci sia più un io parlante e un oggetto parlato, luogo anonimo, in cui davvero la salvezza può essere sinonimo di felicità condivisa?
Apprendistato alla salvezza
Pasquale Vitagliano
Interno Libri, 76 pp., 12 euro
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