Una fogliata di libri
War Poets
La recensione del libro di Paola Tonussi, Ares, 320 pp., 20 euro
Nelle nostre antologie scolastiche, i “poeti di guerra” inglesi sono una presenza costante. Non di rado però sono appiattiti sull’unica dimensione di un antimilitarismo un po’ generico, che è certo un aspetto determinante della letteratura che arriva dalle trincee britanniche, ma non l’unica. Così, la corposa antologia curata e introdotta da Paola Tonussi, specialista di letteratura anglo-sassone dell’Ottocento e del Novecento, permette di farsene un’idea più completa.
C’è infatti la lirica dei primi tempi, “quasi relitto dell’epoca vittoriana o romantica, che celebra ideali astratti di ‘gloria’, ‘eroisimo’, ‘nazione’”. I suoi cantori sono giovani ufficiali cresciuti negli esclusivi college della nobiltà britannica, il suo simbolo Rupert Brooke, che scrive “Se dovessi morire, pensate solo questo di me: / c’è un angolo di campo straniero / che sarà per sempre Inghil-terra”, che muore poco gloriosamente per una banale infezione contratta durante il viaggio verso la Grecia, che sarà additato a esempio da Churchill con studiata retorica: “Si aspettava di morire; voleva morire per l’amata Inghilterra, di cui conosceva la bellezza e la maestà. Era tutto ciò che si potrebbe desiderare nei più nobili figli d’Inghilterra”.
Poi, la realtà drammatica delle trincee si impone, e “i poeti scrivono quel che li circonda, i pidocchi, il freddo, la fame, il sonno rubato, la paura, la disperazione e il fetore di una guerra moderna”. Nascono così i versi di Charles Sorley, che parte per il fronte baldanzoso ma, prima di morire a vent’anni, abbandona ogni retorica: “Quando vedrai milioni di morti senza voce / non dire, come altri hanno fatto, dolci frasi / che ricorderai. Non ti è richiesto”. Nascono le liriche di Ivor Gurney, “il poeta dei particolari”, che finirà i suoi giorni in un ospedale psichiatrico, prigioniero degli incubi che la guerra gli ha seminato nella mente.
Nascono le poesie di tanti altri, che con accenti diversi guardano la morte, raccontano il dolore, torcono i versi perché riescano a dire l’orrore di un massacro inumano, come la terribile Discarica dei morti di Isaac Rosenberg, con l’immagine spettrale delle ruote del carro dei morti che indifferenti sobbalzano sui cadaveri accumulati sul terreno. E in questo panorama desolato, anche versi ben noti come quelli di Dulce et decorum est di Wilfred Owen o le proteste accorate di Siegfried Sassoon acquistano uno spessore, un rilievo diverso.
Paola Tonussi
War Poets
Ares, 320 pp., 20 euro
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