Una fogliata di libri
Come colui che teme e chiama
La recensione del libro di Nanni Cagnone. Giometti & Antonello, 107 pp., 18 euro
Quest’ultimo lavoro di Nanni Cagnone, ventiduesimo titolo di una lunga serie, ha un che di misterioso e suadente. Raccolta difficile da catalogare nel suo insieme, Come colui che teme e chiama presenta al lettore numerose tematiche anche se poi vi si intravede uno sguardo unico, difficilmente non percettibile, esaminando uno dopo l’altro i brevi componimenti che ne fanno da ossatura. Il titolo è intanto l’esegesi di qualcuno che si pone dapprima nella posizione marginale dell’osservatore per poi “scendere in campo” e intervenire con la sua saggezza nel giudicare lo scorrere assiduo del tempo e con esso ciò che si mantiene intatto o che si modifica interamente. Così la lingua diventa una mescolanza di accenti antichi e moderni, di Dante e di Hölderlin, ma anche dei più recenti fenomeni di intrattenimento di massa come Tik Tok e Disneyland.
Tutto vi convive in una sorta di commistione di stili diversi, forse nell’intento di dimostrare che non esistono i generi e che la poesia è dunque un mero divertissement, lungi dall’essere una “professione attestata” o “un esercizio atletico della mente”. E’ una poesia di pensiero con venature filosofiche quella di Cagnone, una sorta di erranza senza alcuna meta precisa, un vagabondare incerto ed erratico all’interno di un periodo storico privo di appigli; tuttavia la cadenza è gradevole all’orecchio e alla vista, considerato il versificare breve e compatto utilizzato nella maggior parte delle novantacinque liriche della raccolta, talvolta incisive e dirette come delle vere e proprie chiuse oracolari: “Non puoi temere / né interrompere, se/ transitorio e abitante/ fra vetusti faggi, / avventore / scarni fervori. Cosa nessuna / che ti sia estranea, / e quante vite accanto, / non inferiori, ché / son vane nel mondo/ gerarchie – se mai / dubito di noi / che dobbiamo / studiare”. Geografie reali fanno da sfondo a questo libro, come la Liguria natia e Bomarzo – borgo dove il poeta ha deciso di passare gli ultimi quindici anni di vita –, affiancate da una buona dose di paesaggi interiori dove si percepisce una visione hölderliniana della poesia, vissuta come rifugio dai mali del mondo circostante in cui la perdita di contatto con il sacro si fa presagire: “Colui che giunge tardi, / non allo Stift di Tübingen, ma alla torre sul Neckar, / preceduto dalla follia / degli dèi, considera / non poter tornare / a quando non sapeva – ora / guarda alle proporzioni / da cui accomodate le cose, / impara l’alimento / che deve amareggiarlo / e i lunghi sorsi delle foglie / al temporale”.
Come colui che teme e chiama
Nanni Cagnone
Giometti & Antonello, 107 pp., 18 euro